Libano | Domestiche etiopi, sfruttate e abbandonate

di Enrico Casale
etiopi in libano

Senza lavoro. Senza paga. Senza una casa. Le lavoratrici domestiche etiopi non sapevano più dove andare e si sono riunite davanti al loro consolato in Libano e lì si sono accampate. Sono vittime del coronavirus e della crisi economica. Arrivate nel Paese dei cedri per trovare un’occupazione si sono trovate con un mucchio di mosche in mano: non possono continuare a lavorare, ma non possono neppure tornare a casa perché l’aeroporto di Beirut è chiuso e le pratiche burocratiche per il rientro sono lunghe e complesse.

Quella delle domestiche africane era una storia difficile già prima della pandemia. Per queste lavoratrici immigrate non esistono tutele. La maggior parte dei datori di lavoro le assume attraverso il sistema di sponsorizzazione noto come «kafala». Il datore di lavoro «sponsorizza» un migrante pagando una cauzione di mille dollari Usa alla Banca centrale.

In questo modo, è il datore di lavoro locale che copre le spese per il trasporto e per il visto, dal quale dipende interamente la permanenza del lavoratore in Libano: il permesso di residenza è valido solo per la durata del contratto e prevede il rimpatrio qualora esso giunga a termine senza essere rinnovato. Con la «kafala» il lavoratore non può scegliere di cambiare lavoro né terminare il contratto senza un esplicito permesso scritto da parte del datore, e non senza incorrere in sanzioni o procedimenti penali. Quasi sempre lo sponsor detiene il passaporto e il permesso di residenza di chi assume, nonostante in Libano questo sia vietato dalla legge.

Le condizioni di vita delle circa 200mila domestiche straniere (le etiopi sono in maggioranza). Tra di loro, è altissimo il tasso di suicidi, abusi sessuali, violenze fisiche e verbali, privazione di cibo e cure mediche, di trinceramento tra le mura domestiche comincia a venire a galla, portando all’interesse dei media internazionali. Caritas Libano, insieme

Il Covid-19 ha ulteriormente peggiorato questa situazione. Le famiglie, strette nella morsa della crisi imposta dal coronavirus e della crisi economica già in atto prima della pandemia, hanno licenziato molte domestiche. Queste si sono trovate senza nulla e, soprattutto, senza la possibilità di rientrare in Etiopia. Così, molte di loro hanno cercato rifugio davanti al consolato etiope. I diplomatici di Addis Abeba ne hanno accolte alcune in un alloggio informale all’interno della sede diplomatica. La Caritas Libano si è impegnata a trasferirne alcune negli shelter ufficiali nei prossimi giorni. I tempi del rientro in patria saranno ancora lunghi.

(Enrico Casale)

Condividi

Altre letture correlate: