Kenya, i vestiti usati peggiorano l’inquinamento da plastica

di claudia

Un terzo di tutti gli indumenti di seconda mano spediti in Kenya nel 2021 erano “rifiuti di plastica sotto mentite spoglie”. È quanto affermato da un nuovo rapporto pubblicato ieri dalla Changing Markets Foundation con sede nei Paesi Bassi, secondo il quale ogni anno il 30% di tonnellate di abbigliamento usato inviate ai Paesi in via di sviluppo finisce in discarica o inonda i mercati locali dove può spiazzare la produzione locale.

In Kenya, ogni anno vengono spediti circa 900 milioni di capi di abbigliamento usati, secondo il documento, che osserva che gran parte dell’abbigliamento spedito nel Paese è realizzato con materiali a base di petrolio come il poliestere, o è in condizioni così cattive da non poter essere donato e finisce pertanto bruciata nelle discariche vicino a Nairobi, esponendo i raccoglitori di rifiuti informali a fumi tossici, o trascinata nei corsi d’acqua, dove si scompone in microfibre ingerite dagli animali acquatici.

“Più di un capo di abbigliamento usato su tre spedito in Kenya è una forma di rifiuto di plastica sotto mentite spoglie e un elemento sostanziale dell’inquinamento da plastica tossica nel Paese”, afferma il rapporto.

La ricerca si è basata su dati doganali e sul lavoro sul campo dell’organizzazione senza scopo di lucro Wildlight e del gruppo di attivisti Clean Up Kenya.

Gli esperti affermano che il problema dei rifiuti di abbigliamento è stato esacerbato dal boom del fast fashion nelle nazioni più ricche, dove gli articoli, molti realizzati con fibre sintetiche, potrebbero essere indossati solo poche volte prima di essere scartati.

Perciò il rapporto invoca l’uso di materiali non tossici e sostenibili nella produzione tessile e l’istituzione di regimi di responsabilità estesa del produttore più solidi in tutto il mondo. “Il Nord del mondo sta usando il commercio di indumenti usati come valvola di rilascio della pressione per affrontare l’enorme problema dei rifiuti del fast fashion”, osserva.

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