Il governo del Kenya silenzia la protesta: oscurati media e Telegram

di claudia

di Andrea Spinelli Barrile

Clima teso e duri scontri con la polizia hanno caratterizzato le proteste andate in scena nella mattinata di mercoledì nella capitale. L’Autorità per le comunicazioni del Kenya ha vietato la loro trasmissione in diretta, minacciando sanzioni ai media. Alla censura si sono aggiunti blocchi di Internet e l’uso di disinformazione per giustificare la repressione violenta delle manifestazioni della Generazione Z.

L’Autorità per le comunicazioni del Kenya, ieri mattina, ha fatto sapere ai media keniani che non avrebbe permesso la trasmissione in diretta delle proteste andate in scena in mattinata nella capitale. L’Autorità, in una seconda comunicazione diffusa verso mezzogiorno del 25 giugno, ha poi ordinato di sospendere la trasmissione in diretta di quei media inadempienti all’ordinanza, citando una presunta violazione di due articoli della Costituzione.

L’ordinanza, firmata dal direttore generale, David Mugonyi, adottando il Kenya Information and Communications Act, mette in guardia le emittenti radiotelevisive da quella che ha definito una “violazione delle disposizioni costituzionali e regolamentari” legata alla copertura in diretta delle manifestazioni, organizzate per celebrare il primo anniversario delle proteste della Generazione Z. “Il mancato rispetto di questa direttiva comporterà l’adozione di misure regolamentari” ha detto Mugonyi, spiegando che queste potrebbero portare anche “alla sospensione o alla revoca delle licenze di trasmissione e alla disattivazione dei segnali di trasmissione”. L’Autorità sostiene che una copertura non filtrata e in tempo reale alimenti, o avrebbe potuto, disordini o amplificare comportamenti illeciti.

Tuttavia, l’ordinanza è arrivata tardi: proprio mentre veniva pubblicata infatti i media keniani catturavano e diffondevano scene in cui la polizia spara gas lacrimogeni ad altezza uomo, usa idranti con liquidi irritanti e si scontra con i manifestanti, malmenando coloro i quali durante la fuga finivano a terra. Gli organismi di controllo della libertà di stampa e i gruppi della società civile keniana hanno criticato la direttiva, definendola un palese tentativo di sopprimere la libertà di stampa e di nascondere l’azione dello Stato al controllo pubblico, ma anche la National association of broadcasters (Nab) dell’Uganda ha condannato la decisione dell’Autorità per le comunicazioni del Kenya di disattivare i segnali in chiaro delle principali emittenti radiotelevisive del Kenya.

Ma oltre alla muscolare risposta della polizia e all’interdizione dei media a trasmettere le immagini in diretta dalle strade di Nairobi, ci sono almeno altri due elementi “di contorno” utilizzati nella repressione della manifestazione del 25 giugno: alcuni gruppi di monitoraggio della rete e organizzazioni per i diritti digitali keniane hanno denunciato l’interferenza mirata da parte dei fornitori di servizi Internet kenioti su Telegram e problemi a connettersi a Internet: i dati in tempo reale raccolti da NetBlocks e Open observatory of network interference (Ooni), multipli Isp kenioti hanno limitato l’accesso all’app mobile, al sito e ai servizi correlati di Telegram e Netblocks ha riportato restrizioni anche tra i fornitori di servizi, tra cui Safaricom, Faiba (Jtl) e Liquid telecom.

Il governo non ha rilasciato una dichiarazione in tal senso, né sul divieto per i media né sul blocco di internet. Ha invece detto la sua la Kenya Human Rights Commission (Khrc, che è un ente pubblico), che ieri ha rilasciato una dichiarazione che ricorda a Telcos, Safaricom, Airtel Kenya e Telkom Kenya, che un ordine del tribunale emesso all’inizio di quest’anno proibisce qualsiasi forma di arresto di Internet durante le dimostrazioni pubbliche.

Il blocco di Internet è un primo elemento ulteriore nella repressione keniana, ma ce n’è un altro, questo totalmente nuovo in Kenya: nel comunicare le disposizioni di sicurezza la polizia, e alcuni media filogovernativi, hanno diffuso notizie secondo cui “criminali” armati di bastoni e infiltratisi nella manifestazione di Nairobi, hanno incitato la folla alla violenza contro la polizia. Insomma, agenti provocatori che la polizia ha indicato come responsabili delle violenze ma, nonostante centinaia di arresti, nessuno di loro è finito in commissariato, o pestato. O ucciso, come altre 16 persone in tutto il Paese.

L’uso dei media per orientare l’opinione pubblica a non partecipare alle manifestazioni è un elemento nuovo nello schema repressivo keniano, che nel corso dell’ultimo anno si è radicalizzato, nonostante le promesse dello stesso presidente William Ruto e le parole di indignazione di fronte agli oltre 60 morti l’anno scorso (e migliaia di feriti, centinaia di arrestati, cui si sommano le decine di attivisti spariti nel nulla e mai più tornati a casa).

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