I segreti dell’ippopotamo

di claudia

Vive in acqua, ma non sa nuotare. Malgrado il suo aspetto goffo e apparentemente innocuo, è l’animale africano più pericoloso per l’uomo. Dotato di una grande caparbietà evolutiva e di un’indomabile passione per i fiumi, l’ippopotamo mette in atto degli stratagemmi che gli permettono di superare facilmente ogni problema di galleggiamento.

di Gianni Bauce

Vive in acqua, ma non sa nuotare: potrebbe sembrare un indovinello ed invece è la realtà di uno tra i più grandi ed iconografici mammiferi terrestri africani: l’ippopotamo.

Con una massa che può superare le 3 tonnellate e un corpo che non si avvantaggia troppo del principio di Archimede, l’ippopotamo si trova a fronteggiare seri problemi di galleggiamento. Uno svantaggio che condivide con altri animali, come per esempio i rinoceronti, ma nel suo caso, il non riuscire a restare a galla, e’ un vero paradosso, perché l’ippopotamo vive per più di meta’ della sua esistenza in acqua.

Sono pochi i fiumi e i laghi africani nei quali non sguazza un ippopotamo, uno dei pochissimi mammiferi che si possano considerare anfibi (in senso fisico, non tassonomico). La sua pelle, infatti, pur essendo molto spessa, non tollera bene l’esposizione al sole. Essendo molto permeabile, l’epidermide dell’ippopotamo espone l’animale ad un fortissimo rischio di disidratazione, che il pachiderma evita restando in acqua per quasi tutto il giorno. Soltanto dopo il tramonto esce dal suo ambiente congeniale e si avventura sulla terraferma per pascolare e rientrare in acqua prima che il sole si alzi nuovamente nel cielo.

Quando Dio creo’ gli animali,” – recita una leggenda africana -”colloco’ l’ippopotamo sulla terraferma, ma l’ippopotamo amava l’acqua e chiese al Creatore di poter vivere nel suo ambiente preferito. Il Creatore, tuttavia, rifiuto’. L’ippopotamo insistette cosi’ a lungo che il Creatore, esasperato, gli disse: -‘Non posso farti vivere nell’acqua. Sei una bestia enorme ed in pochi giorni divoreresti tutti i pesci dei fiumi e dei laghi!’- Allora l’ippopotamo promise che se gli fosse stato concesso di vivere nell’acqua, si sarebbe nutrito soltanto di erba e per dimostrare di tener fede a questa promessa, avrebbe spalancato le fauci ogni qualvolta il Creatore avesse desiderato, per mostrargli che in bocca non c’era alcun pesce. Cosi’ l’ippopotamo convinse il creatore ed oggi vive in tutti i fiumi e i laghi dell’Africa.

Il galoppatore dei fondali

In acqua l’ippopotamo svolge la maggior parte delle sue funzioni fisiologiche e sociali: qui, i maschi dominanti, estremamente territoriali, dimostrano attivamente il loro status e gli altri individui manifestano una spiccata socialità, condividendo un gran numero di spazi ristretti in relativa tolleranza. Sulla terraferma invece gli ippopotami evitano accuratamente qualsiasi interazione sociale, anche con individui dello stesso branco. In acqua rilasciano la maggior parte delle loro feci, la cui scarsa consistenza permette di evitare un eccessivo accumulo di materiale solido in pozze, laghi e fiumi, deteriorando la qualità dell’acqua, ma fornendo invece un importante apporto di nutrienti per le altre creature acquatiche. In acqua essi si accoppiano e partoriscono, eppure, questi grossi pachidermi non sanno nuotare.

Una passione mancata, si potrebbe affermare: invece no, perché pare proprio che l’ippopotamo abbia saputo assecondare abilmente il suo debole per l’acqua a dispetto del suo “difetto di galleggiamento”. Gli ippopotami, infatti, abitano in genere le zone meno profonde di fiumi, pozze e laghi, dove il livello dell’acqua consente loro di restare sommersi, ma di poter venire in superficie per respirare semplicemente alzandosi sulle quattro zampe. Tuttavia, essi si trovano a proprio agio anche in zone in cui l’acqua è più profonda. Qui, non sapendo nuotare, l’unico mezzo di locomozione a disposizione dell’ippopotamo e’ il “galoppare” sul fondo, ritornando in superficie per respirare, spiccando un vero e proprio balzo verso l’alto, spingendosi con le zampe dal fondale alla superficie. Proprio questa sua caratteristica di galoppatore dei fondali e’ valsa all’animale il nome che porta: l’origine del nome “ippopotamo” infatti, risale all’antica Grecia, nella quale veniva definito “cavallo di fiume” (da hippos = cavallo, e potamus = fiume).

Come abbiamo visto, la notte per l’ippopotamo e’ un momento di grande attività, durante la quale si sposta coprendo grandi distanze – che possono arrivare anche a 30 o 40 chilometri – per trovare i pascoli migliori e saziarsi con una quantità di foraggio che si aggira intorno al 2,5% del suo peso corporeo (un’attività che per un animale di 3 tonnellate non e’ un lavoretto da poco!). Per riposarsi e schiacciare un pisolino, perciò, non gli resta che il giorno; ma una bella dormita in immersione e’ un affare rischioso per un animale che non sa nuotare.

Una vita anfibia

Ecco, allora, che il caparbio ippopotamo ha escogitato (evolutivamente parlando) un altro diabolico stratagemma. Quando si abbandona al suo pisolino sommerso, l’animale e’ in grado di ridurre il ritmo del suo battito cardiaco fino al 25% del normale, riducendo la quantità di flusso sanguigno alle aree periferiche del corpo e convogliando il sangue (vettore dell’ossigeno) ai soli organi vitali. Questo processo, che prende il nome di bradicardia, consente ad un ippopotamo di restare sommerso e in apnea anche fino a 5 minuti, dopo i quali si sveglia automaticamente e risale in superficie per respirare, in genere con un rumoroso e caratteristico sbuffo d’aria dalle narici.

Pare proprio che l’ippopotamo se la sudi la sua passione per l’acqua: qualcuno potrebbe azzardarsi a dire che “suda sangue”, e tale espressione, nel caso di questo pachiderma, è più che mai azzeccata. Non e’ raro infatti vedere uno di questi bestioni grondare un liquido rossastro, come se l’animale fosse stato crivellato di proiettili ed ora sanguinasse da ogni poro. In realtà, non si tratta di sangue, ma di una secrezione epidermica, l’acido ippodurico (o ipposudorico), che mantiene umida la pelle dell’ippopotamo, la protegge dai raggi ultravioletti come una crema solare ed agisce anche come potente antisettico per le ferite che altrimenti, costantemente immerse nell’acqua, si infetterebbero. Un’altra brillante strategia evolutiva per conciliare l’ippopotamo con la sua passione acquatica.

Una femmina di ippopotamo può pesare fino ad una tonnellata e mezza, collocandosi tra i mammiferi terrestri più massicci, insieme ad elefanti (una femmina può pesare 3200 kg) e rinoceronti (la femmina può pesare circa 1600 kg nel rinoceronte bianco e 1000 kg nel nero). Eppure, se confrontiamo i periodi di gestazione di questi giganti, osserviamo un’accentuata disparità tra l’ippopotamo e gli altri suoi “colleghi” di stazza: mentre un’elefantessa impiega dai 22 ai 24 mesi per partorire e una femmina di rinoceronte dai 15 ai 16 mesi, a seconda della specie, l’ippopotamo ha una gestazione insolitamente breve che si aggira intorno agli 8 mesi.

Anche questa gestazione ridotta fa parte degli stratagemmi dell’ippopotamo per adattarsi alla sua vita anfibia. Una gestazione più lunga, con conseguente maggiore sviluppo del feto, avrebbe infatti aumentato ulteriormente il peso della madre e compromesso ancor di più le sue già precarie capacita’ di galleggiamento. I ridotti tempi di gestazione, invece, consentono alla femmina d’ippopotamo di contenere in termini accettabili questo ulteriore svantaggio.

Tanto di cappello all’ippopotamo, quindi, ed alla sua caparbietà evolutiva, che gli ha permesso di assecondare la sua indomabile passione per l’acqua nonostante tutto: un esempio che, spesso, dovremmo seguire anche noi.

L’animale più pericoloso d’Africa

La ben nota (almeno per quelli della mia generazione) pubblicità di pannolini per bambini degli anni ’70, il cui protagonista era un simpatico ippopotamo paccioccone, ha condizionato la percezione di questo pachiderma in molti di noi, trasformando l’ippopotamo dell’immaginario collettivo in un innocuo e goffo erbivoro.

In realtà, gli incidenti dell’uomo con gli ippopotami sono numerosi e spesso fatali e questo pachiderma annovera tra i suoi primati quello di mietere annualmente più vittime umane di qualsiasi altro animale, inclusi i grandi predatori. A che cosa e’ dovuta questa “ferocia”?

L’ippopotamo e’ un artiodattilo erbivoro il quale si nutre esclusivamente di erba, che bruca come un enorme tagliaerba attraverso le sue larghe e robuste labbra. A differenza della maggior parte degli altri erbivori, tuttavia, possiede una dentizione molto particolare, con incisivi inferiori e canini straordinariamente sviluppati (i canini inferiori possono raggiungere il mezzo metro di lunghezza), che si mantengono costantemente affilati. L’enorme bocca dell’ippopotamo, inoltre, può spalancarsi fin oltre i 150 gradi, e le mandibole sono mosse da una potente muscolatura. Simili fauci, armate di tali poderose zanne, non hanno alcuna funzione nell’alimentazione, ma servono esclusivamente per combattere contro nemici, predatori e rivali e sono talmente potenti da poter tranciare in due un coccodrillo, cosi’ come pure una canoa in vetroresina.

I maschi dominanti di ippopotamo sono estremamente territoriali in acqua; tollerano altri maschi soltanto se questi mantengono un atteggiamento subordinato e non esitano ad ingaggiare violenti combattimenti con chiunque osi sfidare la loro posizione gerarchica, e durante questi duelli si infliggono ferite gravissime attraverso le zanne affilate, che portano spesso alla morte di uno dei due contendenti.

Le femmine, invece, sono estremamente protettive nei confronti dei loro piccoli e non esitano ad attaccare chiunque venga percepito come una minaccia.

Ecco quindi che, navigare i corsi d’acqua africani, può esporre al pericolo di incappare nella furia di uno di questi enormi mammiferi e molti pescatori incauti annoverano terribili ricordi di tali incontri.

Gli ippopotami, inoltre, non sono confinati nei parchi nazionali o nelle riserve naturali, ma abitano ogni ambiente che concili la presenza di acqua con quella di foraggio. La loro presenza nei pressi dei villaggi e’ quindi un evento comune e la gente utilizza spesso i sentieri tracciati dagli ippopotami per recarsi al fiume o spostarsi agevolmente nella boscaglia, rendendo più probabile l’incontro accidentale con uno di questi animali. Sulla terraferma, l’ippopotamo non si sente a proprio agio come in acqua e ciò lo rende aggressivo anche nei confronti dei propri simili; l’incontro improvviso con un uomo che gli sbarra la strada, può indurre l’animale all’aggressione per paura o semplicemente a travolgere la persona con le sue tre tonnellate di peso nel tentativo di raggiungere la sicurezza dell’acqua.

Un ippopotamo non compie mai cariche dimostrative e quando attacca, lo fa sempre con letale decisione, ad una velocità che può raggiungere i 45 km/h, ovvero può coprire 20 metri in un secondo e mezzo, e 10 metri in meno di un secondo!

(Gianni Bauce)

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