Egitto, nuova rivoluzione inevitabile per i Fratelli Musulmani

di Stefania Ragusa

Braccati dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, i Fratelli musulmani preconizzano una nuova rivoluzione che spazzerà via l’attuale regime. “Nessuna ingiustizia può durare per sempre – ha detto all’Afp a Istanbul Talaat Fahmy, portavoce ufficiale del movimento islamico -. La pazienza e la capacità delle persone di tollerare ciò che sta accadendo non è eterna. Una rivolta è inevitabile, anche se non posso prevedere con precisione quando sarà”.

Uccisi, imprigionati e costretti all’esilio, i Fratelli musulmani sono stati al potere per un breve periodo dopo la cacciata dell’ex presidente Hosni Mubarak. Nel 2012, il loro candidato, Mohamed Morsi, è diventato il primo presidente dell’Egitto democraticamente eletto. Il suo governo ha però sollevato un grande malcontento che è culminato con grandi dimostrazioni di piazza. Di questa situazione ne hanno approfittato le forze armate che, nell’estate 2013, hanno rovesciato Morsi. Al-Sisi, una volta arrivato al potere, ha lanciato una vasta e implacabile campagna di repressione del movimento. “I Fratelli musulmani sono un’organizzazione che ha 93 anni e ha conosciuto travagli simili sotto l’ex presidente Gamal Abdel Nasser dal 1954 fino al rilascio dei suoi leader dalla prigione nel 1974 (sotto la presidenza di Anwar al-Sadat) – ha detto Fahmy -. La nostra organizzazione non è scomparsa. Non ha interrotto i contatti con quei membri che sono rimasti in patria in tutti questi anni. I Fratelli musulmani sanno come comunicare con i propri simpatizzanti, adattandosi alla stretta sulla sicurezza e alle difficili circostanze politiche”.

In prigione otto volte durante il governo trentennale di Mubarak, Fahmy ha lasciato l’Egitto e si è stabilito a Istanbul nel 2015 dopo aver trascorso due anni in prigione sotto Sisi. Considera il governo di Sisi ancora più dannoso per il suo Paese di quello di Mubarak, morto nel febbraio 2020, e accusa Sisi di guidare “un regime sanguinario che governa con il pugno di ferro”.“La situazione in Egitto oggi è peggiore di quanto fosse sotto Mubarak, che ha cercato di mantenere un certo equilibrio, mentre l’attuale regime non si cura di nulla – ha detto Fahmy -. Nessun cambiamento in Egitto è possibile attraverso le elezioni sotto l’attuale regime”. Fahmy pensa che le potenze occidentali che un tempo concedevano a Sisi il beneficio del dubbio perché si presentava come un alleato nella lotta contro l’Islam radicale “stanno cominciando a rendersi conto che il generale sta portando il Paese sull’orlo di un’implosione”. “L’Egitto sotto il governo di Sisi non ha futuro. Basta vedere come l’esercito sta rilevando le compagnie nazionali e imprigionando uomini d’affari. L’esercito ora controlla tra il 70 e l’80% dell’economia e delle imprese”.

Fahmy ha anche espresso pochi timori per le ripercussioni della riconciliazioni con il Qatar – dove sono fuggiti alcuni membri del gruppo – e i suoi rivali regionali nel Golfo e in Egitto, che hanno bollato i Fratelli musulmani come “organizzazione terroristica”.“Il movimento non dipende da questo o da quel governo, e tutti gli aiuti finanziari che riceve provengono dai membri del gruppo. Non riceviamo alcun sostegno dal Qatar o dalla Turchia”, ha detto Fahmy, sottolineando che l’unico aiuto che il gruppo riceve da Ankara è l’autorizzazione a vivere nel Paese. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, il cui partito al governo è un punto di riferimento per l’islam politico, si riferisce regolarmente ad al-Sisi definendolo “un golpista” e accusando le autorità egiziane “di aver ucciso” Morsi, morto nel 2019 per un infarto mentre assisteva a un processo.

(Enrico Casale)

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