2020 | L’Africa sotto i riflettori

di Pier Maria Mazzola

Questione libica a parte, il 2020 africano promette di essere ricco di eventi di rilievo. Dopo il vertice di Pau Francia-G5 Sahel di otto giorni fa, ieri si è tenuto a Londra, convocato da Boris Johnson – ovviamente su sfondo di Brexit – un vertice “Uk-Africa” sugli investimenti nel continente, il primo mai realizzato in Gran Bretagna su tale scala.

Ventuno i Paesi africani partecipanti, undici gli accordi commerciali sottoscritti, per un valore complessivo di 7,6 miliardi di euro, che «coprono una varietà di settori tra cui infrastrutture, energia, vendita al dettaglio e tecnologia – informa l’Agenzia Nova – e puntano a fornire investimenti, posti di lavoro e crescita di alta qualità nel Regno Unito e in Africa». Al summit – cui è intervenuto a margine anche il principe (… ex) Harry, che già in passato ha manifestato un fattivo interesse per l’Africa – hanno preso parte anche Paesi di storia coloniale francese come Tunisia e Mauritania. L’ambizione del primo ministro britannico era, con questo vertice, di lanciare una nuova strategia per lo sviluppo in Africa, che si concentrerà maggiormente sulle infrastrutture e il commercio, e in cui sono chiamate a svolgere un ruolo centrale anche le imprese del Regno Unito.

Anche la Turchia dichiara che questo sarà il suo anno per l’Africa: è in agenda per aprile una conferenza sugli investimenti nel continente. Ma intanto Erdogan non perde tempo, e sarà domenica prossima ad Algeri, quindi in Senegal e Gambia, passando, al momento non è certo, per il Marocco.

La Francia lancia un segnale di interesse a tutto campo anche in ambito culturale, e a giugno prenderà il via a Bordeaux – su iniziativa personale di Macron – una “stagione culturale africana” (ma anche con eventi dedicati all’innovazione tecnologica, ecc.) lunga sei mesi, per la cui organizzazione la scelta è caduta su N’Goné Fall, senegalese, con una forte esperienza di commissaria di esposizione.

Quanto alla Cina, va diramandosi in ogni direzione e consolidandosi la sua Via della Seta. Tra il 7 e il 13 gennaio il ministro degli Esteri Wang Yi già visitava le capitali di Egitto, Gibuti (che ospita la prima base militare cinese all’estero), Eritrea, Burundi e Zimbabwe. Gli ultimi tre Paesi sono soggetti a sanzioni occidentali, osserva Africa Confidential. La storica newsletter ricorda pure come «i prolifici prestiti cinesi basati sugli accordi sulle risorse minaccino una nuova crisi del debito per l’Africa. La realtà è che Pechino è ora indiscutibilmente il principale partner commerciale dell’Africa, nonostante i progetti infrastrutturali di utilità spesso dubbia».

E non dimentichiamo la Russia. Pur con volumi di business inferiori non solo alla Cina ma anche  a Unione Europea, Stati Uniti e India – e specializzandosi nella cooperazione militare –, il successo del vertice di Sochi dell’ottobre scorso ha galvanizzato Mosca, che ha inaugurato quella che qualcuno ha già cominciato a chiamare Russiafrica.

Si attende di capire meglio le intenzioni degli Stati Uniti, al di là del loro annunciato disimpegno militare.

Di propria iniziativa

Ma l’Africa non si limita a farsi corteggiare. Nel 2019 si sono prodotti alcuni sommovimenti endogeni che dovrebbero cominciare a dar frutto a partire dall’anno in corso. Innanzitutto, non dimentichiamo le rivoluzioni popolari di Algeria e Sudan: anche se non hanno sempre portato ai nuovi assetti politici sperati dalle piazze, hanno comunque innescato, una volta di più, una consapevolezza che travalica i confini nazionali. Dovranno tenerne conto i responsabili politici soprattutto delle prime tre grandi economie: la stessa Algeria, il Nigeria, il Sudafrica, dove «la temperatura politica è vicina al punto di ebollizione. Servirà una buona quantità di volontà politica che finora non si è vista per rispondere alle pressioni con un piano credibile».

Un altro volano che si è avviato è quello dell’Afcfta (alla francese, Zleclaf), la Zona continentale africana di libero scambio che dovrebbe cominciare a funzionare a luglio. È, obiettivamente, il più grande progetto di zona commerciale al mondo, cui aderiscono tutti i Paesi, continentali e insulari – a eccezione dell’Eritrea –, dunque 54. Primo obiettivo dell’Afcfta è la costituzione di un mercato unico avente un Pil di più di 3000 miliardi di dollari. Superiore a quello dell’India.

In parallelo, a ovest ferve il dibattito sulla nuova moneta, l’eco, destinata a sostituire il famigerato franco Cfa e a diventare moneta unica per tutti i 15 Paesi, anche quelli anglofoni, della Comunità economica per gli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas/Cedeao). La Nigeria è la capofila delle sei nazioni che lamentano che i patti (pervenire a una moneta unica) non erano questi (limitarsi a «rinominare» il franco Cfa). Una storia da seguire con attenzione.

Comunque vada, il 2020 si caratterizza fin da ora per il fatto che «governi, multinazionali e outsiders stanno focalizzando di nuovo l’attenzione sull’Africa – osserva il succitato quindicinale –: principalmente per risorse naturali, mercati e voti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, e occasionalmente come sede di investimenti ad alto rendimento».

(Pier Maria Mazzola)

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