04/11/13 – Libia – Proteste tuareg e berberi davanti a impianti petrolio

di AFRICA

 

La crisi petrolifera in Libia si è inasprita nei giorni scorsi quando le minoranze tuareg e amazigh (berberi) hanno cominciato a protestare contro la loro marginalizzazione, inscenando proteste davanti ad alcuni terminal e pozzi petroliferi del paese. L’impianto di estrazione di Sharara, cogestito dalla spagnola Repsol nel sud-ovest della Libia, è stato bloccato una settimana fa dalle proteste di tuareg armati della città di Ubari.

Intanto, una trentina di ex rivoluzionari della comunità berbera amazigh, della città di Zuwara, ha iniziato a protestare 10 giorni fa davanti all’impianto di Mellitah (dove e’ presente l’Eni) ed ha minacciato di bloccare le esportazioni nei giorni a venire a meno che governo e Congresso Generale Nazionale non acconsentano alle loro richieste: ovvero il riconoscimento delle peculiarità culturali e dei diritti delle minoranze, a partire da quella berbera, come hanno riferito oggi all’Ansa fonti di Zuwara. Gli uomini armati che rispondono agli ordini del Congresso Supremo Amazigh hanno cominciato a protestare al terminal di Mellitah il 26 ottobre e dopo vari negoziati con il comitato energia del Gnc (General National Congress) hanno dato una settimana di tempo affinché le loro richieste fossero accolte prima di bloccare l’impianto. Il Gnc per il momento non si è ancora pronunciato a riguardo ma l’impianto situato nella parte occidentale del paese continua ad essere operativo, dichiarano fonti all’Ansa, e i negoziati con i manifestanti si svolgono in modo assolutamente pacifico.

Un mese fa gli amazigh avevano già minacciato di boicottare le elezioni municipali e quelle per l’Assemblea Costituente che sarà composta da 60 membri. Alla comunità berbera, già marginalizzata da Gheddafi, sono stati assegnati soltanto due seggi nell’Assemblea, cosi come alle altre due minoranze tebu e tuareg. Gli amazigh chiedono che il Congresso imponga il principio di consenso per gruppi, oltre che una migliore rappresentanza in assemblea e il riconoscimento delle loro peculiarità culturali come ad esempio l’introduzione della lingua tamazight insieme all’arabo nella nuova Costituzione. Le proteste di Sharara e Mellitah si aggiungono a quelle in corso dalla fine di luglio dei lavoratori e delle guardie di sicurezza nei maggiori siti di estrazione e esportazione dell’est del paese che hanno messo in ginocchio l’economia libica fortemente dipendente dal settore petrolifero, facendo registrare perdite per oltre 130 milioni di dollari al giorno, come spiegato di recente dal ministro delle finanze Kilani. Il blocco del settore petrolifero ha provocato la peggiore crisi dal conflitto del 2011, con una produzione al di sotto dei 300.000 barili al giorno, secondo quanto fatto sapere dal ministro del petrolio Al Arusi, contro i 1.6 milioni del periodo pre-rivoluzionario. Gli scioperanti accusano il governo di corruzione, oltre a chiedere più diritti e un aumento dei salari. Secondo le autorità invece gli scioperi sarebbero stati orchestrati dai federalisti che chiedono più indipendenza nella regione orientale. Le manifestazioni sono in effetti guidate da un ex rivoluzionario a capo delle guardie di sicurezza dei maggiori terminal petroliferi dell’est, Ibrahim Jadran, e di recente capo dell’Ufficio Politico della Cirenaica, neo entità che ha annunciato la settimana scorsa la formazione di un governo autonomo. Jadran promette di mettere fine agli scioperi qualora il governo centrale di Tripoli accetti una serie di condizioni tra cui il riconoscimento dell’indipendenza della Cirenaica.

Intanto le autorità hanno cercato a più riprese di negoziare una soluzione ma invano. Sia il premier Zeidan che il ministro del petrolio Abdel Bari Al Arusi si sono recati nei siti di Hariga (nella città di Tobruk) e Sharara per negoziarne la riapertura. L’ente nazionale petrolifero libico Noc aveva perfino rimosso lo stato di forza maggiore da Hariga, annunciando che le attività del porto sarebbero riprese a breve. L’ultimo passo in avanti del governo è stata la decisione di giovedì scorso di aumentare del 67% i salari degli impiegati del settore petrolifero. (ANSAmed).

 

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