di Andrea Spinelli Barrile
Stanno facendo discutere nelle ultime ore le dichiarazioni del presidente dell’Uganda, Yoweri Museveni, che ha ammesso l’arresto di due attivisti keniani, scomparsi settimane fa e di cui nessuno sembrava avere notizia. Un caso che è solo la punta di un iceberg di altri episodi registrati negli ultimi tempi in Africa orientale.
Come un fulmine a ciel sereno, il presidente ugandese Yoweri Museveni, per la prima volta, ha riconosciuto che due attivisti keniani, scomparsi cinque settimane fa in Uganda e di cui nessuno sembrava avere notizia, sono in realtà stati arrestati.
Si tratta di Bob Njagi e Nicholas Oyoo, cittadini keniani che a inizio ottobre furono costretti a salire in macchina da uomini in uniforme e mascherati davanti, tra l’altro, a diversi testimoni oculari, dopo un evento politico in cui stavano sostenendo il leader dell’opposizione ugandese, Bobi Wine. La notizia del loro rilascio è stata confermata sabato, ma fino a quel momento le autorità avevano negato che fossero detenuti: sabato sera, dopo il rilascio, intervistato dalla tv nazionale il presidente ugandese Museveni ha dato quella che dovrebbe essere la versione ufficiale dei fatti, descrivendo i due come “esperti in rivolte” che erano stati poi messi “in frigo per alcuni giorni”. Museveni, al potere da quasi quattro decenni e candidato per un altro mandato, stava rispondendo a una domanda sulle recenti proteste mortali post-elettorali, guidate dai giovani, in Tanzania, per le quali ha accusato i gruppi stranieri di fomentare disordini, dicendo che “quelli che fanno questo gioco qui in Uganda finiranno male”.

Senza nominarli, ha aggiunto che i due attivisti kenioti sono stati rilasciati dopo aver ricevuto telefonate da “alcuni leader kenioti” che richiedevano la restituzione dei due. Sabato, Njagi e Oyoo sono stati accolti dai alcuni loro sostenitori, compagni attivisti, all’aeroporto principale della capitale del Kenya, Nairobi: “Trentotto giorni di sequestro non sono stati facili. Non pensavamo di uscirne vivi, eravamo rapiti dai militari” ha dichiarato alla stampa keniana Njagi. Il ministro degli Esteri del Kenya, Musalia Mudavadi, ha detto che il loro rilascio è il risultato di “un impegno diplomatico duraturo tra Kenya e Uganda” ma non ha commentato nel merito le accuse ai due.
L’organizzazione di attivisti keniana Vocal Africa, che si era battuta per la liberazione dei due, ha dichiarato in una nota ufficiale “che questo momento segna un importante cambiamento verso la difesa dei diritti umani degli abitanti dell’Africa orientale in tutta la comunità dell’Africa orientale”.

In una dichiarazione congiunta firmata da Vocal Africa, Law society of Kenya e Amnesty international sono stati ringraziati i governi del Kenya e dell’Uganda ma anche e soprattutto “tutti i cittadini attivi” che hanno fatto campagna per il rilascio dei due attivisti.
Le agenzie di sicurezza ugandesi sono state spesso accusate di aver orchestrato la detenzione di politici e sostenitori dell’opposizione senza indossare l’uniforme. Alcuni degli arrestati sono poi ricomparse in tribunale, dove sono state incriminate penalmente, e le ultime sparizioni rispecchiano fatti simili del passato che hanno coinvolto politici e attivisti in tutta la regione dell’Africa orientale. L’anno scorso, Njagi era stato prelevato in Kenya da uomini mascherati durante un’ondata di rapimenti che si hanno preso di mira i critici del governo ed è ricomparso un mese dopo, dopo che un tribunale ha ordinato alla polizia di consegnarlo. In seguito, Njagi ha raccontato le strazianti condizioni di prigionia, dove, a suo dire, veniva spesso isolato e gli veniva negato il cibo. All’inizio di quest’anno, l’attivista keniota Boniface Mwangi e l’attivista ugandese Agather Atuhaire sono stati arrestati in Tanzania, torturati e tenuti in isolamento per giorni prima di essere abbandonati ai rispettivi confini nazionali. Entrambi hanno raccontato di essere stati brutalmente maltrattati, subendo torture sessuali da parte delle autorità tanzaniane, accuse che la polizia ha liquidato come “sentito dire”.

L’anno scorso, un altro esponente dell’opposizione ugandese, Kizza Besigye, è misteriosamente scomparso a Nairobi per poi ricomparire quattro giorni dopo in un tribunale militare in Uganda, dove attualmente è a processo ed è accusato di tradimento. Da allora, i casi hanno suscitato una diffusa condanna e preoccupazioni sul fatto che i governi dell’Africa orientale possano collaborare per contenere il dissenso.


