Rd Congo, ancora lacune in cura e prevenzione Aids

di claudia
Laboratorio vino

Restano ancora enormi lacune nella cura e prevenzione dell’Hiv in Repubblica Democratica del Congo (Rdc) che ogni anno causa ancora migliaia di morti evitabili. A portare l’attenzione sulla problematica è Medici senza frontiere (Msf) tramite una nota emessa in occasione della giornata mondiale contro l’Aids che si celebra oggi.

Secondo gli ultimi dati di Unaids, in Rdc più di 500.000 persone vivono con l’Hiv e una su cinque non ha accesso alle cure; nel 2021, l’Hiv/Aids ha causato 14.000 morti e circa 20.000 nuove infezioni.

Nel 2002 essere sieropositivi in Rdc equivaleva per molti a una condanna a morte: più di un milione di uomini, donne e bambini vivevano con l’Hiv, ma gli antiretrovirali erano rari e costosi. “Il costo delle cure era inaccessibile per la maggior parte dei pazienti. Nei primi mesi di attività del centro neanche Msf disponeva di questi farmaci  e si potevamo trattare solo sintomi e infezioni legate alla malattia”, ha detto – si legge nella nota – la dott.ssa Maria Mashako, coordinatrice medica di Msf in Rdc.

Secondo i dati ufficiali Unaids, nei primi anni 2000 il virus uccideva tra le 50.000 e le 200.000 persone all’anno. “Non mi piace ripensare a quei tempi”, racconta Clarisse Mawika, 60 anni, che ha scoperto di essere sieropositiva nel 1999. “Quando ho avuto l’esito del mio esame, ho pensato di dover preparare il mio funerale. La mia famiglia mi ha sostenuto inviandomi farmaci dall’Europa, ma a un certo punto non potevano più permetterseli, ho dovuto interrompere la cura per diversi mesi e le mie condizioni sono peggiorate. È stato allora che qualcuno mi ha parlato di Msf”.

Essendo la prima struttura sanitaria a offrire antiretrovirali gratuiti a Kinshasa fin dall’inizio ha lavorato a ritmi serrati per ricevere un numero altissimo di pazienti – più di 21.000 in 20 anni, tra cui circa 700 bambini ammessi al centro, con più di 15.000 pazienti stabili, di cui 2.129 bambini, seguiti dai servizi ambulatoriali.

Per ampliare la portata delle cure, i team di Msf hanno poi sostenuto anche altri centri sanitari e ospedali, circa 30 strutture nella sola Kinshasa negli ultimi venti anni. Inoltre, Msf ha avviato un modello pilota che ha permesso anche agli infermieri di prescrivere la cura e seguire i pazienti sieropositivi, considerando che venti anni fa solo pochi medici per provincia erano autorizzati a farlo. Un intervento che in 20 anni ha assicurato la formazione di numerosi operatori sanitari.

“Questo supporto medico era essenziale ma insufficiente, per questo abbiamo deciso di decongestionare le strutture mediche e avvicinare le cure al paziente, collaborando con la rete nazionale delle associazioni di pazienti per creare postazioni per la distribuzione degli antiretrovirali (Podi) gestite direttamente dai pazienti”, continua la dott.ssa Mashako di Msf.

“Quando abbiamo lanciato i primi due Podi a Kinshasa nel 2010, c’erano meno di 20 pazienti”, ricorda Clarisse, una delle persone chiave nel lancio di queste postazioni. Attualmente ci sono 17 Podi in otto province per più di 10.000 pazienti, un approccio così efficace da essere poi integrato nel piano nazionale per l’Hiv/Aids.

Negli anni l’accesso alle cure nel Paese è stato notevolmente ampliato e negli ultimi 10 anni il numero di nuove infezioni si è dimezzato. Tuttavia, la Rdc dipende quasi esclusivamente da donatori internazionali e la mancanza di fondi è in gran parte responsabile dell’assenza di test gratuiti, della formazione per gli operatori sanitari e della carenza cronica di medicinali e servizi sanitari. Solo tre province in tutto il paese dispongono di attrezzature adeguate a misurare la carica virale dei pazienti; un quarto dei bambini nati da madri sieropositive non ha avuto accesso alla profilassi pediatrica alla nascita e due terzi dei bambini sieropositivi non ricevono la cura con gli antiretrovirali.

“Sono sconvolta dal fatto che così tante vite si stiano ancora perdendo per niente”, sottolinea ancora la dott.ssa Mashako di Msf. “Se potessi esprimere un solo desiderio, vorrei che tra vent’anni Msf non fosse ancora qui a curare un così alto numero di pazienti sieropositivi”. 

(Immagine di repertorio)

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