La voce di Clementine Talatou Pacmogda, scrittrice burkinabé

di claudia

Di Valentina GeraciCentro studi AMIStaDeS

La voce degli scrittori di origine africana e afro-discendente è oggi sempre più presente nella narrativa, offrendo spaccati di esperienze personali, percorsi di migrazione e descrivendo fenomeni e realtà di tanti Paesi del continente africano di prima mano. Per superare narrazioni distorte e riempire vuoti spesso creati intenzionalmente, queste opere diventano fondamentali per trovare un posto – il proprio – e superare la condizione di invisibilità a cui altrettanto spesso sono soggetti.

“Non abbiamo da essere né fieri né tristi. Abbiamo semplicemente da accettare una cosa che non possiamo cambiare. Se qualcuno si sente veramente contento o no di aver il suo colore di pelle, credo che sia il più gran cretino della storia dell’umanità!”. Con queste parole- tratte dal libro autobiografico Basnewende (2020) – la testimonianza della scrittrice burkinabé Clementine Talatou Pacmogda è stata pubblicata in occasione della terza edizione del concorso nazionale Diari Multimediali Migranti (DIMMI). Da quel momento la sua vita come autrice sposa l’obiettivo di raccontare e raccontarsi per sensibilizzare i suoi lettori e ricordare l’importanza di esprimersi liberamente, di essere ascoltati e mantenersi protagonisti delle proprie vite.

Chi è Clementine Pacmogda?
Mi chiamo Clementine Talatou Pacmogda. Sono in Italia dal 2008 per motivi di studio. In Burkina Faso, dove sono cresciuta, avevo già ottenuto una laurea magistrale in un percorso pari a un’odissea. Sono riuscita comunque a raggiungere i miei obietti e quando pensavo di non avere più una possibilità per continuare a studiare in Burkina Faso, il mio professore ha condiviso con me l’occasione di una borsa di studio alla Scuola Normale Superiore di Pisa. L’idea di partecipare a una dura selezione mi ha impaurita, ma era un’opportunità che non potevo lasciar passare. Fu così, con tanto studio e impegno, che ho raggiunto l’Italia per un dottorato in linguistica, più precisamente occupandomi del linguaggio per i bambini. Sono stata la prima a discutere la tesi tra gli immatricolati nel 2008, intimorita di perdere la borsa di studio e non avere i mezzi per restare in Italia.

Da dove nasce la passione per la scrittura?
La passione per la scrittura è nata in questa avventura. Quando sono arrivata alla Normale, ero l’unica persona nera di origine africana. Ho percepito tanta curiosità nei miei confronti da colleghi e studenti che volevano sapere come fossi arrivata, chi fossi, quale fosse la mia storia.
Si sente sempre raccontare che in Africa la vita non è facile e tanti luoghi comuni circolano poi in ogni realtà, dalle piazze alle case, alle televisioni e anche all’interno delle università. I miei colleghi, sentendo la mia storia, mi hanno subito suggerito di mettere tutto per iscritto e raccontare la mia esperienza. Per mio conto, presa da mille dubbi, ho sempre rimandato fino a quando mi ritrovai a riordinare i miei documenti nei cassetti. In quell’occasione ho rivisto il mio passaporto e, per la prima volta dopo tanto tempo, ho fatto un tuffo nel passato ripensando alle difficoltà vissute nel viaggio e a quelle con cui convivevo in Italia. Ricordo di aver preso il mio computer per buttare giù le mie emozioni attraverso le parole.
Un estratto dei miei racconti su Facebook è stato poi presentato in una scuola elementare in Puglia per volontà di un’insegnante che mi ha seguita attivamente. Ai suoi alunni, dopo averli incontrati a scuola, ho promesso di scrivere.
Quella notte, tornata dall’incontro a Bari, ho realmente iniziato e non mi sono più fermata.
In quel periodo, una mia amica mi ha raccontato anche del concorso Diari Multimediali Migranti, che raccoglie i racconti di persone con background migratorio e di origine straniera in tutto il territorio nazionale. Mi son presentata al concorso con l’intero romanzo, non sapendo che bastasse un estratto molto più breve. Era l’anno 2018, la terza edizione del concorso. La mia storia è stata pubblicata tra le testimonianze finaliste per la Categoria Donne.

Cosa ha rappresentato per te il Concorso Diari Multimediali Migranti?
Posso dirti che non è soltanto un concorso letterario quanto un incontro, ormai una famiglia per me. Il concorso Diari Multimediali Migranti si inserisce all’interno di un altro concorso letterario, quello dedicato al giornalista e scrittore Saverio Tutino, e si incastra con appuntamenti e giornate piene di scambi in cui ognuno ha la sua voce da far sentire e i suoi pensieri da condividere.
Chiunque partecipa trova il suo spazio e l’occasione per parlare di sé. Questo non è scontato.
Tante persone di origine straniera in Italia non hanno la possibilità di raccontarsi o di essere ascoltati. Sono abituata a vedere sempre più spesso che molti stranieri sono giudicati senza esser conosciuti realmente. Ci giudicano da lontano. Pochi si avvicinano per chiacchierare e chiederti “Perché sei qui? Cosa sai? Come hai vissuto? Cosa ti piace?” Qui non ti chiedono nulla o meglio fanno delle domande e si inventano le risposte, offrendo a loro stessi una visione, lasciami dire, assai contorta del continente africano. Questo crea grossi problemi a chi viene dall’altra parte del mondo.
Il concorso DIMMI fa il contrario. Ti permette di raccontarti. Ti offre l’occasione di parlare del tuo viaggio, dell’accoglienza, delle tue emozioni e delle tue paure. Il generale diventa particolare.
Non è la storia di un migrante. È la tua. Racconti la tua vita, il tuo posto, la tua persona.

A cosa pensi siano dovuti i tanti stereotipi sul continente africano? La letteratura può essere una forma di rivendicazione o comunque una “presa di voce”?
Oggi, oltre a scrivere, sono insegnante di sostegno in un liceo qui a Borgo Val di Taro, in provincia di Parma, e mi sono accorta che l’Africa non è studiata. La storia africana non è conosciuta.
Forse, tenendo conto del passato che lega l’Occidente al continente africano, questo può essere considerato una scelta.
La memoria infatti si può scegliere. Puoi scegliere che memoria perpetrare e quale raccontare.
L’Africa è stato un continente a tradizione orale e oggi manca di racconti del passato messi per iscritto da persone di origine africana che potrebbero condannare qualcuno e fare sì che questi sia obbligato a spiegarsi e a raccontare il perché di certe azioni. In Europa, spesso si preferisce non parlare o parlarne sommariamente. Oggi c’è una mescolanza di informazioni non esatte e molti credono di conoscere l’Africa per quel poco che sentono in una trasmissione radio o in tv. Ma non basta. I media principali ti descrivono il continente africano in termini di guerre, povertà, migrazione. C’è parecchio di più.
Questo è uno dei motivi per cui scrivere diventa il fondamentale. Oltre ai bambini che mi hanno detto di scrivere, e oltre ai miei colleghi universitari e amici, c’è stato un momento in cui nel 2018 il razzismo in Italia andava avanti in maniera incontrollata e vergognosa. Potrei raccontarti tantissimi episodi di razzismo vissuti sulla mia pelle. Potrei condividere tante storie di persone che sono state in vacanza due settimane in un Paese africano e tornano a ostentare conoscenze di un continente. Fino a quando rimarranno queste idee è importante scrivere. Noi persone di origine africana che siamo qui abbiamo una missione. Dobbiamo parlare di noi. Dobbiamo condividere le nostre opinioni, le nostre culture e, soprattutto, dobbiamo farci conoscere. A volte quel che sembra razzismo è soltanto ignoranza.

Torniamo adesso al tuo libro. Un estratto ha vinto la terza edizione del Concorso Diari Multimediali Migranti e poi la pubblicazione del libro con un’altra casa editrice. Quali sono stati i messaggi che hai voluto trasmettere?
Sì, il libro è stato pubblicato in un secondo momento Basnewende, titolo del libro, vuol dire “Lascio nelle mani di Dio”. È un’espressione che mia madre ha scelto per mio figlio, perso al settimo mese di gravidanza. Questo libro è anche un po’ per tenerlo in vita. Chiunque leggerà questo titolo lo chiamerà e lo ricorderà. Basnewende è anche un’espressione per richiamare la mia storia e tutto quello che ho vissuto per arrivare qui in Italia. Con il mio racconto voglio dire che nella vita, nonostante tutto, bisogna sorridere. La mia autobiografia è la scelta di raccontarmi e condividere la mia storia. È un romanzo che ti mette in contatto con un’esistenza e vuole offrire un esempio di riflessione, forza e coraggio.
Dopo questo romanzo, l’inverno scorso è uscito un altro mio lavoro che racconta della mia infanzia.
Nei miei libri voglio raccontare i dolori e le difficoltà che ho provato tra Burkina Faso, in una famiglia dove povertà è un eufemismo, e in Italia tra l’università e l’accoglienza. Volevo e voglio che tutti abbiano il loro riconoscimento, che possano raccontare in prima persona se stessi senza alcuna paura.

Mi soffermo adesso sul tema della migrazione, percependo le tue difficoltà in un viaggio regolare. Quali le tue riflessioni sul tema oggi?
La migrazione irregolare è frutto dell’impossibilità di ottenere facilmente i visti e i documenti per procedere in via legale. Parlo di quello che conosco rispetto a un fenomeno tanto complesso.
In Africa c’è il problema dei visti, che la cosa più assurda che l’Occidente ha creato per limitare lo spostamento degli esseri umani. L’essere umano è nomade di natura. La storia lo ricorda. E quando blocchi o ostacoli i flussi migratori, in realtà dai piede all’illegalità, alla tratta e al traffico di esseri umani. L’illegalità sfrutta la vulnerabilità delle persone che vogliono partire e si ritrovano impossibilitati a farlo regolarmente. Non cambieranno facilmente idea ma troveranno un’alternativa.
La migrazione non la puoi negare. È parte della nostra vita e della nostra società. È un fenomeno che le politiche dovrebbero valorizzare e trasformare in opportunità.
Ci sono ancora tanti ostacoli e problemi di informazione, orientamento e formazione quando si parla di migrazione. La mia storia può essere un esempio anche rispetto alla convalida di titoli e studi universitari. Questo crea tanti problemi per persone di origine straniera che, in Italia e altrove in Europa, si ritrovano “bloccati” in posti di lavoro poco remunerati o comunque poco qualificati. Da quando c’è stata la colonizzazione, forse anche prima, si è diffusa la falsa credenza che i bianchi siano superiori e che in Europa non si possa essere poveri. Tanto in Africa quanto in Europa i problemi sono l’informazione e la comunicazione. L’Europa deve farsi vedere per quella che è realmente.
C’è una narrazione sbagliata che bisogna decostruire e affrontare e di cui è necessario parlare.

Che consigli daresti a chi ci legge ed è oggi alla ricerca di uno spazio per la sua storia?
La cosa peggiore che una persona che cambia posto può vivere è arrivare in un altro Paese e non poter trovare qualcuno che la ascolta. Raccontarsi è una cosa importante e me ne sono accorta quando ho cominciato a scrivere. Quando ti racconti è come se ti mettessi davanti a te stesso e ti guardassi come di fronte a un televisore. Ti passano davanti pensieri, immagini e ricordi che credevi di aver dimenticato. Raccontarsi ti fa vivere sempre te stesso nel presente. Non passi mai.
Ci vuole coraggio per farlo e la condivisione diventa importante perché i racconti di una persona sono delle testimonianze che servono al mondo per scoprire altre storie, per entrare nella vita delle altre persone, per ritrovarsi in una narrazione. È sempre così ed è fondamentale.

Per partecipare al Concorso Diari Multimediali Migranti e per conoscere le modalità di partecipazione, clicca qui.


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