«La Costa d’Avorio è un Paese lacerato»

di AFRICA

La Costa d’Avorio è piombata in una crisi preoccupante. Le elezioni presidenziali del 31 ottobre sono state segnate da violenze, così come il periodo pre-elettorale, scatenate dalla decisione del presidente uscente, Alassane Outtara, di candidarsi per un terzo mandato. Le opposizioni hanno subito parlato di “golpe elettorale”, chiedendo alla popolazione di boicottare il voto e mettere in atto una disobbedienza civile diffusa. Ma si sono spinte anche più in là. All’indomani delle elezioni, vinte da Ouattara, hanno dato vita a un Consiglio di transizione che avrebbe espresso un governo di transizione. Mossa non gradita dal presidente. Subito, infatti, sono scattati gli arresti per molti oppositori, compreso il portavoce dell’opposizione Pascal Affi N’Guessan, mentre la casa dell’ex presidente Henri Konan Bedié è stata circondata dalla polizia costringendolo nella sua abitazione e impedendogli dunque ogni movimento. Il presidente eletto Ouattara, poi, ha invitato il suo rivale Bedié a un «incontro per un dialogo aperto e sincero per aiutare a ripristinare la fiducia e nel rispetto dell’ordine costituzionale». Di tutto ciò e del futuro che attende il Paese, ne abbiamo parlato con l’ambasciatore italiano in Costa d’Avorio, Stefano Lo Savio.

Innanzitutto le chiedo un commento sui risultati. In particolare se sono credibili visto che l’opposizione ha boicottato il voto. La percentuale dei votanti è praticamente identica a quella del 2015.

«Non è facile rispondere alla sua domanda sulla base di dati e riscontri precisi e dettagliati. A causa dell’emergenza pandemica in corso e del boicottaggio attivo dell’opposizione, non è stato possibile effettuare una seria missione di osservazione elettorale e quelle che si sono svolte non hanno potuto dispiegare i propri osservatori su tutto il territorio ivoriano. Inoltre, la linea del boicottaggio attivo ha fatto sì che circa il 23% dei seggi elettorali siano rimasti chiusi. Nel pubblicare il tasso di partecipazione, la Commissione Elettorale Indipendente non ha tenuto conto degli elettori iscritti in questi seggi con la conseguenza che, se si contabilizzassero anch’essi, la percentuale scenderebbe al 43,62%. Ciò detto, le elezioni possono essere considerate non credibili e non competitive nella misura in cui le opposizioni non hanno partecipato al voto e un numero considerevole di elettori non si sono potuti esprimere, ma certamente non sono state consensuali in ragione del fermo rifiuto delle opposizioni di riconoscere la validità e la legittimità del quadro elettorale di riferimento».

Secondo lei per l’opposizione è stata una mossa azzeccata boicottare il voto e “incitare” alla disobbedienza civile?

«Il boicottaggio di un’elezione o la disobbedienza civile sono strumenti di espressione e di confronto politico che hanno una loro legittimità in sé. Tuttavia il boicottaggio attivo, adottato in Costa d’Avorio, si basa sull’idea di impedire che le elezioni si svolgano e che gli elettori possano esercitare il proprio diritto al voto. Questa linea si pone di per sé al di fuori della legalità e rende ancora più difficile un riavvicinamento delle posizioni di tutte le parti in causa. Tuttavia, è ancora troppo presto per dire se tale decisione si riveli profittevole o no per le opposizioni».

Proporre un comitato di transizione che dovrebbe esprimere un governo di transizione può essere letto come un atto sovversivo?

«Pur comprendendo la frustrazione delle opposizioni, che non sono riuscite a influire in maniera determinate sull’organizzazione del processo elettorale, la creazione di un Comitato e di un Governo di transizione è da considerarsi come un atto sovversivo poiché le pone di fatto al di fuori dell’ordine costituzionale. A maggior ragione, dopo il video appello di Guillaume Soro, anch’egli parte delle opposizioni, in cui invita l’esercito a sollevarsi».

Gli osservatori internazionali hanno scritto, in una loro nota, che il voto non è stato credibile. Corrisponde al vero?

«Ci sono state diverse missioni elettorali in Costa d’Avorio: Cedeao; Unione Africana; Organizzazione Internazionale della Francofonia; Carter Center e Electoral Institute of Southern Africa (EISA). Tenendo in considerazione i limiti di cui ho accennato sopra, queste missioni elettorali hanno fornito riscontri non omogenei sulla regolarità e la trasparenza del processo elettorale. Solo la missione congiunta Carter Center e EISA ha parlato di elezioni non credibili e non competitive, nel senso che ho tracciato nella prima domanda, e riferendosi al processo elettorale a monte delle elezioni. Il boicottaggio ha fatto sì che le opposizioni non fossero presenti negli organismi chiamati a gestire le elezioni e nei singoli seggi, creando una crepa sulla credibilità dell’intero processo elettorale».

Un nodo fondamentale in questa fase estremamente critica e pericolosa per il Paese è quello dell’esercito. Il presidente ne ha in mano, saldamente, le leve?

«Le forze dell’ordine e, tra esse, l’esercito hanno dato buona prova di professionalità nel corso dello svolgimento del processo elettorale, prediligendo il dialogo e il negoziato con quella parte di popolazione impegnata nel boicottaggio attivo anziché lo scontro. I ranghi delle Forze Armate rimangono tuttavia segnati da antichi contrasti, dovuti alla fusione con le Forze ribelli dopo la vittoria di Ouattara nel 2010 e, sebbene siano state avviate importanti riforme per rinnovare l’Esercito, non è detto che tali contrasti non possano risorgere, peraltro amplificati dal confronto etnico che inevitabilmente le elezioni presidenziali hanno alimentato».

Molti ivoriani, secondo l’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu, hanno cominciato a uscire dal Paese. Non sono numeri enormi, si parla di poco più di 3000 persone, però può essere un segnale che qualcosa di più drammatico possa accadere?

«Non necessariamente. Il flusso verso i Paesi confinati è una delle espressioni della psicosi che manifesta in generale la popolazione a seguito della lunga crisi del decennio nero della Costa d’Avorio ed è anche conseguenza della linea politica adottata dalle opposizioni le quali, ponendosi al di fuori dell’ordine costituzionale, hanno innescato la reazione del Governo che ha risposto con un’ondata di arresti».

Infine, quali scenari nel breve e nel lungo termine si possono prevedere?

«All’indomani delle elezioni la Costa d’Avorio è un Paese ancora più lacerato, dove nuove ferite si sono aggiunte a quelle non ancora rimarginate a causa di una riconciliazione incompiuta. Nel medio termine, la stabilità e la coesione della Costa d’Avorio dipenderà dalla saggezza e dalla capacità di Ouattara e dell’RHDP di acquisire la vittoria elettorale ma anche di saper voltare pagina ed avviare una vera politica di apertura verso le opposizioni e un vero e profondo processo di riconciliazione nazionale, senza il quale i vecchi e nuovi traumi saranno destinati a ripresentarsi ciclicamente. Ad oggi è molto difficile che questo scenario si concretizzi a causa della nomina di un Consiglio Nazionale di Transizione da parte delle opposizioni e del seguente arresto di tutti i suoi leader. Certo è che entrambi, Governo e opposizioni, hanno molto da perdere se tale clima politico dovesse perdurare nel tempo. Lo stesso presidente Ouattara avrebbe grosse difficoltà a governare un Paese contro una buona parte della sua popolazione. Su questo punto, nel tentativo di riavvicinare le parti in causa, la comunità internazionale potrebbe giocare un ruolo importante».

(Angelo Ferrari, Agi)

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