In viaggio – editoriale Africa n° 4-2015

di Pier Maria Mazzola

di Marco Trovato

«L’ha fatta la Namibia?».
«No, non l’ho fatta».
«Scommetto che le manca anche il Botswana».
«Esatto».

 Il tizio che siede accanto a me sull’aereo di ritorno dal Sudafrica mi bersaglia di domande. E gongola soddisfatto di fronte alla mia malcelata inettitudine. Il suo passaporto è pieno di timbri e visti d’ingresso di Paesi africani. «Nel mio salotto ho una mappa del continente trivellata di bandierine colorate: i luoghi in cui sono stato». È onesto: non dice “i luoghi che ho visitato”, “i luoghi che ho amato”, “i luoghi che ho scoperto”. A lui basta tracciare una croce sopra l’ennesima meta conquistata. Ma viaggiare non è sinonimo di spostarsi. Si può girare il mondo come trottole, senza capire nulla dei posti che si attraversano. Le persone più sagge che ho conosciuto erano due monumenti all’immobilità, mia nonna e un vecchio cieco del Togo: entrambi non si erano mai spostati dal loro villaggio. Si può viaggiare anche senza muoversi… Così come ci si può muovere in continuazione senza fare un passo in avanti.

Personalmente ho bisogno di mesi per digerire un viaggio: devo aver tempo di rielaborare le cose che ho visto, ripensare alle persone che ho conosciuto, riordinare un po’ le idee che ho raccolto sulla strada. Prendiamo il recente viaggio in Sudafrica. Nelle praterie del Middleveld ho incontrato Afrikaner nostalgici dell’apartheid che ancora considerano i Neri alla stregua di animali. Nella township di Soweto ho visto la nuova borghesia nera fare shopping in mirabolanti centri commerciali. In un salone di bellezza ho scoperto ragazze cinesi fare treccine africane alle giovani locali. E a Johannesburg ho conosciuto dei cittadini bianchi ridotti a vivere in semipovertà. Viaggiare in Africa crea confusione nella mente, sconquassa l’anima, frantuma convinzioni, rovescia il paradigma stesso del bene e del male. Da oltre venticinque anni vagabondo per questo continente. E, ogni volta che torno da un viaggio, mi sembra di saperne meno di prima. Ho meno certezze e più dubbi. Ma è forse per questo motivo che amo l’Africa: perché sa ancora sorprendermi e meravigliarmi.

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