Il fascino del tie and dye

di claudia

Il tie and dye è stato reso popolare in Occidente dal movimento psichedelico degli anni Settanta, ma è una tecnica di tintura che esiste da secoli in Asia e Africa. La stilista ivoriana Lynda Cazilhac, fondatrice del giovane marchio di prêt-à-porter e abbigliamento Kalyca, ha deciso di farne la protagonista della sua prima collezione, Ayo” lanciata quest’anno.

Se in Africa il tie and dye si usa in genere per abiti tradizionali e applicato al tessuto noto come bazin, Cazilhac ha voluto servirsene per gonne, shorts, camicie, T-shirt e tute con tagli contemporanei in cotone organico, seta e crêpe di seta. La collezione ha avuto un grande successo anche se, come spiega la stilista, i sarti a cui si è rivolta in Costa d’Avorio per realizzare i capi che aveva in mente hanno pensato a lungo che la sua fosse un’idea folle. La tecnica del tie and dye, che letteralmente significa “legare e tingere”, si tramanda di generazione in generazione. Il tessuto viene prima legato dagli uomini usando un filo di cotone, poi immerso in acqua calda insieme con pigmenti naturali (indigo, nocciolo di avocado, fiori di ibisco, noci di cola, cipolle essiccate, corteccia d’albero…) per essere tinto. E questo è un compito specificamente femminile. Quindi si passa alla fase di essiccatura e infine allo scioglimento del “malloppo”, che rivela finalmente le sue tinte brillanti e il suo disegno ricco di sfumature. Nel fast fashion in realtà i modelli vengono stampati e non tinti, su tessuti di dubbia qualità. Ma la differenza è percepibile a occhio nudo. 

(Stefania Ragusa)

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