Guinea, i parenti delle vittime del massacro del 1971 invocano la riconciliazione

di claudia

In occasione del 50esimo anniversario del massacro dell’ottobre 1971, i parenti dei 70 cittadini guineani uccisi quella notte, sotto il regime di Sékou Touré, hanno chiesto al nuovo uomo forte della Guinea, il colonnello Mamady Doumbouya, la riabilitazione e una degna sepoltura per le vittime del massacro. Lo riportano le agenzie internazionali e i media locali.

Almeno 70 persone, tra ministri, ambasciatori, magistrati, uomini d’affari, industriali, ufficiali dell’esercito furono fucilate nella notte tra il 17 e il 18 ottobre 1971 a Camp Boiro, così come a Kindia (130 km a est di Conakry) e Kankan (600 km a est della capitale). Un massacro crudele: alle vittime fu imposto di scavarsi la fossa prima di essere giustiziate.

Ieri si è tenuta una cerimonia di lettura del Corano, occasione che ha riunito circa 300 persone nel sito dell’ex campo di Boiro, una prigione alla periferia di Conakry dove venivano rinchiusi gli oppositori a Sékou Touré, che governò la Guinea dalla sua indipendenza nel 1958 al 1984. Alla cerimonia, proibita sotto il regime di Alpha Condé, che ha sempre impedito la celebrazione della memoria di quel massacro e osteggiato ogni tentativo di riconciliazione, hanno preso parte i parenti delle vittime, che indossavano i ritratti dei dispersi e magliette rosse con la scritta “Mai più”, ma anche un gruppo di ufficiali militari, in rappresentanza della giunta al potere, e il primo ministro di transizione Mohamed Béavogui.

Quest’ultimo ha invocato “una nuova Guinea, che sarà basata su una cosa: la riconciliazione”. Abdoulaye Conté, capo dell’Associazione delle vittime di Camp Boiro, ha ricordato la promessa di giustizia e riconciliazione fatta dal colonnello Doumbouya, ora presidente della transizione, e dai soldati che hanno preso il potere con la forza il 5 settembre scorso destituendo Alpha Condé.

Sotto la presidenza di Sékou Touré, circa 50.000 persone sono state torturate, fucilate, impiccate o “scomparse” in detenzione, secondo le associazioni delle vittime e le organizzazioni per i diritti umani.

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