Crimini impuniti contro giornalisti, la Somalia ancora numero uno

di Celine Camoin

Con 26 uccisioni di giornalisti “senza colpevoli” per 15,4 milioni di abitanti, la Somalia guida per la sesta volta la classifica mondiale dell’impunità 2020. Pubblicato nei giorni scorsi dal Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), l’indice fa da cornice all’odierna “Giornata Internazionale per mettere fine all’impunità per i crimini commessi contro i giornalisti”, istituita dalle Nazioni Unite nel dicembre del 2013.

Il 2 novembre dello stesso anno furono uccisi in Mali, nei pressi di Kidal, due reporter di Radio France Internationale (Rfi), Ghislaine Dupont, 57 anni, e Claude Verlon, 55 anni, rapiti mentre stavano realizzando un reportage, a pochi mesi dall’avvio dell’operazione francese Serval contro i jihadisti. Sette anni dopo, rimangono incerti i motivi e le circostanze dei sequestri e delle uccisioni. I mandanti e gli autori sarebbero stati identificati: alcuni sono morti nel frattempo, altri sono a piede libero. L’associazione degli amici di Dupont e Verlon si è inoltre indignata dal fatto che «uno dei presunti responsabili, addirittura considerato dalla Francia il co-organizzatore del rapimento letale, sia stato l’interlocutore jihadista dei negoziatori della recente liberazione degli ostaggi (tra cui i due italiani padre Gigi Macalli e  Nicola Chiacchio, Ndr) in cambio della liberazione di circa 200 prigionieri».

Tra i 12 Paesi classificati nell’indice 2020 dell’impunità per i crimini commessi contro i giornalisti spicca un altro Paese africano, il Sud-Sudan (con 5 casi non elucidati per 11,1 milioni di abitanti), separato dalla Somalia solo dalla Siria e dall’Iraq.

L’indice viene stilato in base alla percentuale di popolazione e comprende gli omicidi motivati dal lavoro dei giornalisti, non elucidati, commessi tra il 1° settembre 2010 e il 30 agosto 2020. Con meno di 5 casi, la Nigeria è uscita quest’anno dalla classifica.

Secondo il Cpj, in quel periodo sono stati assassinati nel mondo 277 giornalisti a causa del proprio lavoro e nell’83% dei casi, nessun autore dell’omicidio è stato perseguito con successo.

«L’indice mondiale annuale dell’impunità del Cpj non è cambiato molto rispetto all’anno scorso» precisa il Comitato con sede a New York, facendo notare che i primi quattro classificati sono teatro di un ciclo di violenza e di anarchia fomentati dalla guerra e dall’instabilità politica. «Ma ogni anno, includiamo nell’indice Paesi più stabili, dove gruppi criminali e politici, esponenti politici, imprenditori e altri attori potenti ricorrono alla violenza per far tacere i giornalisti critici e d’investigazione» denuncia il Cpj, puntando il dito contro la corruzione, la debolezza delle istituzioni, e l’assenza di volontà politica di condurre inchieste solide.

L’ultimo omicidio mirato in Somalia, secondo Reporter senza frontiere, risale allo scorso 4 maggio: è stato quello di Said Yusuf Ali, reporter del canale privato Kalsan Tv, ucciso a Mogadiscio.

Vittime dimenticate della repressione violenta contro i giornalisti sono spesso i fixer, accompagnatori locali dei reporter, che si ritrovano a volte coinvolti in episodi letali.

Della sensibilizzazione per la fine dell’impunità contro i crimini commessi contro i giornalisti si riparlerà il 9 e 10 dicembre prossimo in occasione di una conferenza organizzata dall’Unesco e dai Paesi Bassi, che celebrerà anche la Giornata mondiale per la libertà di stampa, che non si è potuta celebrare il 3 maggio scorso a causa dell’emergenza covid-19.

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