Le ragioni dell’accordo Londra-Kigali sui richiedenti asilo

di claudia
rifugiati

di Andrea Spinelli Barrile

Perché mai un Paese poco più grande della Sicilia ma nel cuore della regione africana dei Grandi laghi, con una popolazione di appena 13 milioni di persone, dovrebbe mettersi in prima fila per accogliere i richiedenti asilo che dal continente africano cercano di raggiungere l’occidente?

Bisogna partire da questa domanda per capire il senso dell’accordo, siglato giovedì 14 aprile a Kigali dalla ministra dell’Interno del Regno Unito Priti Patel e dal ministro degli Esteri ruandese Vincent Biruta, grazie al quale Londra potrà intercettare, con la Royal Navy, i migranti che cercano di attraversare clandestinamente la manica e soprattutto potrà spedirli in Ruanda in attesa che la loro domanda venga valutata dalle autorità britanniche. Un accordo che è stato criticato da più parti, anche da alcuni partiti conservatori britannici come l’Ukip, oltre che dall’UNHCR, ma che viene difeso a spada tratta dal governo del Regno Unito che, secondo la stampa britannica, è riuscito così a spostare l’attenzione dallo scandalo partygate, relativo all’organizzazione di feste nel giardino della residenza del primo ministro a Downing Street durante il lockdown.

L’accordo tra Londra e Kigali vale solo per le persone di sesso maschile ed esclude i richiedenti asilo provenienti dall’Ucraina e dai paesi limitrofi al Ruanda: nel 2021 il fenomeno ha riguardato 28.000 persone ma le autorità britanniche stimano che nel 2022 queste potrebbero arrivare a 60.000. Il giorno prima della firma, mercoledì 13 aprile, 600 migranti avevano attraversato la Manica a bordo di imbarcazioni di fortuna.

Il Regno Unito, da dopo la Brexit, porta avanti una politica molto rigida volta a sigillare i propri confini, erigendo un muro di burocrazia sulle acque della Manica: prima della partnership firmata con il Ruanda, Londra si era rivolta a Nairobi, che avrebbe rifiutato ai britannici la richiesta di un’analisi di costi-benefici motivandola con le criticità già esistenti. Il Kenya infatti ospita già circa 800.000 rifugiati e secondo un funzionario diplomatico keniota, citato in forma anonima dal quotidiano The East African, “costa molto ospitarli”, cosa che rappresenta l’onere maggiore per chi accoglie. “In tre-cinque anni l’accoglienza diventa un problema” anche se si ricevono fondi dall’estero, ha spiegato: “Dopo, la sostenibilità diventa un problema perché ciò di cui si ha bisogno sono posti di lavoro e altri elementi di sostenibilità di base” e non i 120 milioni di sterline che Londra garantirà a Kigali ogni anno. Un altro rifiuto il Regno Unito lo aveva ricevuto dal Ghana a gennaio: Accra, con una nota ufficiale del governo, aveva negato ogni trattativa in corso.

Secondo Boris Johnson, primo ministro britannico, il Ruanda è un ottimo Paese ospitante perché “è uno dei paesi più sicuri al mondo, riconosciuto a livello mondiale per il suo record di accoglienza e integrazione dei migranti e avrà la capacità di reinsediare decine di migliaia di migranti negli anni a venire”. A Kigali i migranti avranno diritto alla piena protezione ai sensi della legge ruandese, alla parità di accesso al lavoro e all’iscrizione ai servizi sanitari e di assistenza sociale, nonché al rilascio dei documenti di identificazione necessari.

Non è la prima volta che il Ruanda apre le sue porte ai rifugiati. Nel 2014 ha firmato un accordo con il governo di Tel Aviv per accogliere i migranti eritrei a cui era stato negato il soggiorno in Israele, creando forti polemiche. Secondo diversi studi di organismi internazionali molti protagonisti di quell’accordo hanno ricevuto scarso o nessun sostegno, non è stato garantito loro nessun diritto al lavoro e molti sono finiti a morire per le strade di Kigali chiedendo l’elemosina. Nonostante questi precedenti lo scorso anno anche la Danimarca ha firmato un accordo simile e nelle prossime settimane il governo e il Parlamento di Copenhagen lavoreranno insieme per finalizzarlo e renderlo operativo.

Secondo molti analisti l’economia del Ruanda necessita di forza lavoro maschile e accordi di questo tipo rientrano nella strategia del governo per attirarla. Da gennaio, il Ruanda sta lavorando per rilanciare le relazioni con i paesi vicini dell’Uganda e del Burundi aprendo le frontiere terrestri con entrambi i paesi e tenendo diversi colloqui diplomatici nonostante dal 2019, Uganda e Ruanda abbiano continui scontri diplomatici sul piano della sicurezza.

I governi ruandese e britannico stanno cercando di spiegare l’accordo come un modo per stimolare la crescita economica del Ruanda e come un mezzo per frenare la tratta di esseri umani e dissuadere le persone dal rischiare la vita cercando di attraversare la Manica. Sul punto si è espresso anche il presidente ruandese Paul Kagame, ripreso dalla Bbc, che ha detto che sarebbe “un errore” interpretare l’accordo unicamente come una fonte di denaro per il Paese africano. “Non stiamo commerciando esseri umani: stiamo effettivamente aiutandoli” ha detto Kagame durante un seminario virtuale con la Brown University degli Stati Uniti. Il presidente ruandese ha detto di aver deciso nel 2018, quando ha presieduto l’Unione africana, che il suo Paese avrebbe offerto rifugio ai migranti bloccati in Libia mentre cercavano di attraversare l’Europa: da allora circa 1.000 persone sono state trasferite in Ruanda, di cui due terzi ricollocati in Europa e Canada.

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