La schiavitù in Niger, tra leggi e tradizioni persistenti

di claudia

Di Luigi Limone – Centro studi AMIStaDeS APS

La pratica della schiavitù in Niger persiste tutt’oggi ed è legata a tradizioni consuetudinarie, come il “wahaya” e il matrimonio consuetudinario, che perpetuano la discriminazione. La legislazione sul tema esiste ma la sua applicazione rimane difficoltosa, soprattutto nelle zone rurali. Il cambiamento richiede un impegno coordinato tra legge, educazione e trasformazione culturale.

La schiavitù non è un fenomeno del passato in molte parti del mondo, e il Niger non fa eccezione. Nonostante gli sforzi recenti per combattere questa piaga, la schiavitù basata sulla discendenza è ancora una realtà per alcune popolazioni del Paese, specialmente tra i gruppi nomadi come i Tuareg, i Peul e i Tubu. Sebbene il governo del Niger abbia fatto proprie misure legali per abolire la schiavitù, alcune pratiche consuetudinarie e culturali continuano a perpetuare questa ingiustizia sociale, alimentando discriminazioni e disuguaglianze che riguardano principalmente le donne e i discendenti degli schiavi.

Nel 2003, il Niger ha adottato una legge storica che ha definitivamente abrogato la schiavitù. L’articolo 1 del Codice Penale n. 2003-01 ha introdotto pene severe per chi pratichi, giustifichi o sia complice della schiavitù. Questa normativa è stata un passo fondamentale nella lotta contro la schiavitù, ma nonostante l’adozione della legge, il fenomeno non è stato estirpato completamente. Le ragioni sono molteplici: sebbene esista una legislazione che condanna la schiavitù, la sua applicazione si scontra con numerosi ostacoli, tra cui le radici culturali profonde legate a un sistema di servitù tradizionale, tradizioni tribali e disuguaglianze di genere, e le difficoltà legate all’accesso e all’efficacia delle istituzioni in molte zone rurali.

Le statistiche parlano chiaro: secondo l’Indice Globale della Schiavitù, nel 2018 circa 133.000 persone in Niger vivevano ancora in condizioni di schiavitù, molte delle quali provenienti da gruppi emarginati, come i discendenti degli schiavi. Sebbene il governo abbia quindi attuato politiche di sensibilizzazione e promozione della giustizia, la pratica persiste, soprattutto in ambito rurale e tra le popolazioni nomadi, dove la tradizione e il controllo sociale spesso esercitato da una combinazione di autorità tradizionali, leader clanici e capifamiglia, continuano a essere molto radicati.

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Una delle principali difficoltà nel contrastare la schiavitù risiede in alcune tradizioni consuetudinarie, che persistono in molte comunità, specialmente quelle più isolate. Tra le pratiche più problematiche, c’è quella del “wahaya”, una forma di schiavitù sessuale e domestica in cui uomini facoltosi acquistano giovani donne come “quinte mogli” – una pratica che permette loro di aggirare la legge islamica che limita il numero di mogli a quattro.

Un altro esempio significativo riguarda il matrimonio consuetudinario, che è radicato in norme culturali che legano strettamente le donne di discendenza servile allo status di schiave. In questi matrimoni, la condizione sociale della donna è decisa dal suo padrone o da un capofamiglia maschile, e la sua capacità di esprimere liberamente il consenso è spesso negata. Inoltre, in questi matrimoni, l’idea della subordinazione femminile è legalmente sancita, poiché la donna non ha il diritto di rifiutare un matrimonio e, in molti casi, non può nemmeno divorziare senza il permesso del suo padrone.

La discriminazione nei confronti dei discendenti degli schiavi è un altro fattore che alimenta la perpetuazione della schiavitù. Anche quando le persone non sono più sotto il controllo diretto di un padrone, continuano a essere stigmatizzate dalla società. I discendenti degli schiavi sono spesso emarginati, costretti a vivere in povertà, senza accesso alle stesse opportunità di educazione o di lavoro riservate agli altri cittadini. Inoltre, l’accesso ai servizi pubblici e alle opportunità economiche resta limitato, creando un circolo vizioso che rende difficile uscire dalla condizione di marginalità.

Nel 2021, il Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Raziale (CERD) ha esaminato la situazione in Niger e ha evidenziato che, nonostante i miglioramenti legislativi, persistono disparità significative tra i vari gruppi sociali, soprattutto per quanto riguarda l’accesso ai diritti economici, sociali e culturali. Le popolazioni nomadi, in particolare, sono vulnerabili alla discriminazione e alla marginalizzazione, con limitate opportunità di partecipare alla vita sociale ed economica del paese. La povertà, l’isolamento geografico e la scarsità di risorse educative contribuiscono ulteriormente ad alimentare queste disparità.

Il Niger ha fatto alcuni progressi, come la gestione delle risorse naturali, con l’introduzione di meccanismi giuridici per la distribuzione dei proventi derivanti dalle miniere e il coinvolgimento delle comunità locali nei processi decisionali. Tuttavia, l’attuazione delle leggi contro la schiavitù rimane una sfida complessa, a causa della mancanza di educazione, di consapevolezza e di risorse adeguate ad applicare le leggi, specialmente nelle zone rurali. Le organizzazioni della società civile e le ex vittime di schiavitù stanno lavorando attivamente per sensibilizzare le comunità sui diritti umani e sulle leggi esistenti, cercando di cambiare la percezione sociale della schiavitù. Tuttavia, il cambiamento socio-culturale rimane un processo lungo e complesso.

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