La nuova frontiera del Jihad

di claudia

di Alessio Briguglio –  – Centro studi AMIStaDeS APS

Negli ultimi mesi, la sicurezza dell’Africa centro-occidentale è stata ridefinita da due dinamiche parallele, da una parte il salto tecnologico e comunicativo del gruppo jihadista JNIM, dall’altra la ristrutturazione della presenza militare russa sotto l’ombrello dell’Africa Corps. Condizioni che hanno portato ad una crescente sofisticazione tattica dei jihadisti, in particolare l’uso di droni e la propaganda post-califfale e ad una revisione del ruolo geopolitico della Russia dopo il tramonto della Wagner, in uno scenario più frammentato e competitivo.


Il gruppo jihadista Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin (JNIM), affiliato ad al-Qaeda, ha compiuto un significativo salto di qualità nel teatro centroafricano, sia sotto il profilo operativo che sotto quello comunicativo.
Secondo l’analisi approfondita pubblicata da Militant Wire, JNIM ha impiegato per la prima volta droni FPV modificati per sganciare ordigni esplosivi in attacchi mirati, come quello condotto nell’aprile 2024 contro una base delle milizie Dozo nel Mali centrale, nei pressi di Mopti, provocando numerose vittime. L’uso offensivo di droni non rappresenta soltanto un mero incremento delle capacità militari e operative del gruppo, ma è anche un potente strumento simbolico e propagandistico. È facile intuire come l’impiego di questi sistemi d’arma, rafforzi l’immagine di un’organizzazione sofisticata, tecnologicamente avanzata, capace di colpire con precisione e di dominare il territorio.


In Burkina Faso e nella regione centroafricana, il gruppo ha dimostrato un’elevata capacità di coordinamento tra attacchi aerei e terrestri, come evidenziato dall’assalto alla città di Diapaga nel marzo 2025, dove i droni sono stati utilizzati per colpire postazioni difensive prima dell’ingresso delle milizie di terra.
Parallelamente all’evoluzione tecnologica, JNIM ha messo in atto una profonda riorganizzazione del proprio apparato mediatico. La casa di produzione affiliata al gruppo, la Az-Zallaqa Foundation, ha rilanciato contenuti ad alta definizione che mostrano i droni in azione, accompagnati da musica sacra e da narrazioni ideologiche che esaltano il sacrificio, la disciplina e la potenza dello jihad. Il martirio come non lo avevamo mai visto.
Dopo il cambio del califfo al vertice della galassia qaedista, infatti, la propaganda ha assunto un carattere più ordinato e istituzionale, con richiami espliciti alla visione di un ordine islamico alternativo all’instabilità degli Stati africani e all’influenza straniera.

Nel contesto di un Sahel profondamente destabilizzato, questo salto qualitativo di JNIM si innesta su un altro fattore decisivo quale il riassetto della presenza militare russa nella regione. Dopo la morte del leader Prigozhin e il progressivo smantellamento, più o meno ufficiale e ufficioso, del gruppo Wagner come entità autonoma, Mosca ha creato l’Africa Corps. Una struttura direttamente controllata dal Ministero della Difesa, incaricata di proseguire e formalizzare le attività precedentemente affidate ai contractor. L’Africa Corps è attivo in Mali, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana e Sudan, con compiti che spaziano dalla formazione delle forze locali alla protezione delle miniere e degli interessi economici russi, fino ad arrivare ad operazioni offensive contro gruppi jihadisti.

A differenza di Wagner, l’Africa Corps risponde a una logica gerarchica più rigida e meno grigia, i suoi uomini sono selezionati, equipaggiati e pagati dallo Stato russo, e le operazioni sono condotte con una supervisione strategica dal Cremlino. L’obiettivo sarebbe, così, duplice: da un lato mantenere il controllo sul terreno conquistato da Wagner, dall’altro rendere più presentabile agli occhi della comunità internazionale la presenza russa nel continente. Tuttavia, il passaggio da un modello flessibile e brutale a una struttura più centralizzata non è stato privo di attriti.

I rapporti con le forze locali, in particolare con le nuove giunte militari saliti al potere in Mali, Niger e Burkina Faso, si sono rivelati più complessi del previsto, e in alcuni casi, come dimostra l’incidente di Tinzaouaten nel 2024, si sono verificati episodi di frizione e malintesi operativi, come riportato dall’ISW e dal West Point CTC.
L’operatività dell’Africa Corps, inoltre, si concentra in aree rurali e periferiche dove lo Stato è assente o delegittimato, proprio come insegna l’esperienza nostrana nelle aree meridionali, lasciando libero spazio a una competizione sempre più aperta con JNIM per il controllo del territorio, delle risorse e della popolazione.

In questo scenario, il gruppo jihadista si propone non solo come forza militare ma come ulteriore entità politica alternativa, capace di fornire giustizia, sicurezza e senso d’appartenenza. Il Sahel e il Centrafrica diventano così il laboratorio di un conflitto ibrido, in cui attori statali, parastatali e jihadisti si contendono il monopolio della violenza e la legittimità.
La sofisticazione di JNIM, con la sua capacità di colpire dal cielo, comunicare in modo efficace e governare aree vaste, è la dimostrazione che il conflitto non è più tra Stati e milizie, ma tra modelli organizzativi in competizione per il controllo sociale e simbolico dell’Africa centro-occidentale.

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