Il martirio di Floribert e il destino del Kivu

di claudia
Floribert Bwana Chui

di Mario Giro

Tra guerre, sfruttamento minerario e violenza, il Kivu resta simbolo delle contraddizioni africane. Mentre Goma e Bukavu cadono sotto il controllo dei ribelli sostenuti dal Rwanda, la storia di Floribert Bwana Chui, doganiere ucciso per aver resistito alla corruzione, offre un esempio di speranza e integrità in una terra dilaniata dai conflitti.

Le regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo, ricche di coltan, litio e altre terre rare, sono al centro di appetiti economici e tensioni geopolitiche. Dallo scorso gennaio le città di Goma e di Bukavu, capoluoghi del Nord e del Sud Kivu, sono occupate da gruppi ribelli sostenuti dall’esercito rwandese. La guerra ha rimescolato le comunità locali: per quasi trent’anni, gruppi di lingua kinyarwanda e swahili si sono scontrati, rendendo impossibile stabilire chi sia autoctono. Ma i due Kivu sono da sempre terre di frontiera, ben prima della colonizzazione. Con il completo controllo del Lago Kivu frontaliero, Kigali sta creandosi la zona cuscinetto che da tempo cerca di ottenere. La storia del Congo e dei Kivu è simbolica dell’Africa contemporanea: un intreccio inestricabile di interessi predatori per le ricchezze del sottosuolo, strategie geopolitiche di alcuni stati e marasma etnico utilizzato come propellente per la violenza diffusa. Come nel Sahel, nel Corno d’Africa e in Sudan, la guerra è privatizzata, gestita da milizie indipendenti – jihadiste, etniche, criminali o ibride come la Wagner. Gli Stati intervengono il meno possibile, concentrati sulla loro difficile sopravvivenza o trasformati in cleptocrazie corrotte.

La popolazione, lasciata a sé stessa, cerca di fuggire. L’Occidente si accorge di questi conflitti solo quando generano migrazioni, senza comprenderne le cause profonde. La privatizzazione degli interessi economici e della violenza produce un mercato parallelo dove transita di tutto (armi, droghe, risorse minerarie, contrabbandi di ogni tipo) ma soprattutto dà la dimensione di un futuro fuori controllo. Ai giovani (il 70% della popolazione africana) vengono offerte solo due possibilità: gettarsi nel business corrotto o aderire alla violenza delle milizie. Al contrario di ciò che pensiamo in Occidente, dove migrante ormai fa rima con criminale, chi fugge compie la scelta meno violenta e più ragionevole. In pochi resistono a tale tentazione mantenendo il desiderio di costruire un futuro per i loro Paesi, come Floribert Bwana Chui, cittadino di Goma e doganiere, che rifiutò di farsi corrompere e fu ucciso nel 2007 per aver distrutto carichi di cibo avariato. Floribert sarà beatificato quest’anno, esempio controcorrente che dimostra come è possibile restare puliti in mezzo al male, resistere alla corruzione quando dilaga perché “così fan tutti”, e credere ancora nel futuro del proprio Paese.

Membro della Comunità di Sant’Egidio, Floribert si occupava dei bambini di strada di Goma e della scuola della pace, aiutando tanti minori a studiare e a reinserirsi negli studi. Sant’Egidio a Goma gestisce una grande scuola che porta il suo nome e che in questi anni di guerra è servita da rifugio a tanti. Floribert era una personalità ricca e attiva: aveva studiato, aveva ambizioni, si interessava di politica e società civile. Un giovane impegnato dai tanti interessi e aspettative. Passando attraverso la difficile storia della sua terra, faceva parte di quella generazione che desidera ricostruire il proprio Paese dopo la devastazione, alla ricerca della pace e della convivenza tra etnie. Floribert non aveva paura, affrontava la vita e il futuro con decisione: un giovane di responsabilità e di fede. Quando provarono a corromperlo, non cedette. Per questo fu minacciato, rapito, torturato e ucciso a soli 26 anni.

Il tentativo di corruzione rappresenta un evento banale da quelle parti: tutti lo fanno, tutti accettano. In una terra che ne ha viste tante, per Floribert il male si è incarnato con l’apparenza di qualcosa di scontato. Benché giovane, Floribert lo ha riconosciuto e ha resistito. Entra così a far parte di quella schiera di resistenti che danno senso alla storia, che la illuminano e offrono ancora speranza per il martoriato Kivu. Guardare al Congo con i suoi occhi ci insegna a comprendere davvero l’Africa.

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