Gli esclusi della gentrificazione

di claudia

di Federico Monica

La trasformazione di quartieri popolari in zone esclusive, con espulsione degli abitanti originari, è un fenomeno amaro che colpisce duramente anche l’Africa. Da Addis Abeba a Nairobi, da Lagos ad Abidjan, interi insediamenti vengono demoliti per fare spazio a progetti urbani elitari e speculativi.

Mai sentito parlare di gentrificazione? Questo termine di origine inglese è stato coniato dalla sociologa britannica Ruth Glass negli anni Sessanta per descrivere la progressiva trasformazione di quartieri popolari in zone esclusive e per ricchi. Gli abitanti originari vengono lentamente costretti a spostarsi dall’aumento dei prezzi e si assiste a una vera e propria sostituzione sociale.

Secondo alcuni, sono processi inevitabili, da sempre insiti nell’evoluzione delle città, ma il fenomeno – almeno nella sua portata globale – è relativamente recente: ha avuto una fortissima diffusione negli ultimi 25 anni, anche per la mancanza di politiche urbane pubbliche efficaci. Ci avete mai fatto caso? Succede in tutte le nostre città, probabilmente anche nel vostro quartiere, dove gli affitti iniziano a salire, le botteghe di vicinato chiudono lasciando spazio a bar e catene di ristoranti, gli Airbnb spopolano e le facce conosciute sono sempre meno. In pochi anni il volto e la vivibilità di interi quartieri risultano trasformati radicalmente.

Il continente africano non ne è purtroppo esente: l’effetto, anzi, è ancor più disastroso. La crescita vertiginosa delle metropoli, la scarsa preparazione degli enti pubblici a gestire fenomeni nuovi e dirompenti, il ruolo crescente di investitori privati locali e internazionali attratti da scarsa regolamentazione e alti profitti creano un terreno estremamente fertile per una gentrificazione ancora più drammatica. Se nelle città dell’Occidente questi processi – comunque rapidissimi – richiedono alcuni anni, a sud del Sahara tutto può cambiare in settimane o in pochi giorni, e l’elemento dominante diventa, anziché l’aumento dei prezzi immobiliari, il bulldozer, che spiana interi insediamenti in poche ore, lasciando terra bruciata pronta per i nuovi investitori.

La crescita rapidissima delle città ha spesso lasciato indietro ampie porzioni di territorio non urbanizzate in quanto paludose, alluvionali o pendenti. Non c’era il tempo per sistemarle, conveniva sviluppare nuove costruzioni in aree più lontane ma pianeggianti. Oggi che si è raggiunto un punto di saturazione, quelle zone, molte delle quali nel frattempo sono state occupate da insediamenti informali, sono diventate estremamente appetibili per il mercato immobiliare. Non a caso, alcuni ricercatori parlano di wetland gentrification: la gentrificazione delle zone umide, un tempo dimenticate dalla corsa urbana e oggi al centro di progetti mastodontici.

Campagne governative martellanti narrano il volto futuristico di Addis Abeba (foto) imperniato sul Bantyketu Project, un piano di rigenerazione delle rive del piccolo fiume che taglia la città da nord a sud destinato a diventare un parco lineare ricco di servizi, aree commerciali e attrezzature sportive. Peccato che dietro l’immagine green e moderna si nasconda la demolizione di interi quartieri, lo sfollamento di tante persone e la distruzione di aree storiche come Piassa. Lo stesso avviene in decine di città, da Nairobi ad Accra, da Lagos ad Abidjan, seguendo un copione sempre uguale in cui la riqualificazione si traduce in una sostituzione sistematica dei residenti e una “mutazione genetica” dei quartieri, sempre più esclusivi ed escludenti, buoni per essere mostrati come vibranti destinazioni nelle riviste di viaggi ma inaccessibili a chi non ha determinate fasce di reddito.

L’altra faccia della medaglia difficilmente viene mostrata: che ne è degli abitanti originari dei quartieri gentrificati? Gli sbandierati programmi di edilizia sociale e popolare solitamente interessano una piccolissima percentuale dei residenti, tutti gli altri sono costretti a spostarsi altrove, spesso in slum lontani dove, da ultimi arrivati, saranno costretti ad adattarsi a condizioni economiche e ambientali ben peggiori. Sperando che i tentacoli della gentrificazione non arrivino anche là.

Questo articolo è uscito sul numero di luglio e agosto della rivista Africa.

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