Il governo del Gambia ha dato un chiaro avvertimento all’ex presidente Yahya Jammeh: in una dichiarazione diffusa ieri, il governo di Banjul ha ribadito la sua posizione qualora Jammeh tornasse nel Paese il prossimo novembre: sarebbe processato per i presunti crimini commessi durante il suo mandato. Lo riportano i media locali.
La minaccia non è nuova: il presidente Adama Barrow aveva già minacciato Jammeh di arresto e processo dopo che cinque anni fa aveva espresso l’intenzione di porre fine al suo esilio.
Domenica scorsa, Jammeh ha diffuso un messaggio vocale rivolgendosi a migliaia di suoi sostenitori, riuniti nel suo villaggio natale di Kanilai, in cui annunciava il suo ritorno in Gambia a novembre e l’intenzione di farsi leader politico della sua fazione dell’ex partito al governo.
Jammeh, 60 anni, non ha specificato una data esatta per il suo rientro, ma ha fatto riferimento a un memorandum d’intesa con l’Unione africana, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas), le Nazioni unite e l’Unione europea, che, a suo dire, lo impegnerebbe ad accettare il suo futuro rientro. Ha detto anche che la durata iniziale del suo soggiorno fuori dal Paese sarebbe dovuta essere di sei mesi.
Jammeh fuggì in esilio in Guinea Equatoriale nel gennaio 2017, ponendo fine a una situazione di stallo politico durata mesi sui controversi risultati delle elezioni del 2016, perse contro Adama Barrow: il Gambia sprofondò in una crisi politica dopo che Jammeh, dopo aver ammesso la vittoria, ritirò la sua ammissione una settimana dopo.
Qualora rientrasse in Gambia, il governo ha fatto sapere che Jammeh sarebbbe soggetto ad arresto, detenzione e procedimento giudiziario per presunti crimini commessi durante i suoi 22 anni al potere, terminati nel dicembre 2016. Le autorità di Banjul hanno chiarito che nessun accordo ha conferito l’immunità al signor Jammeh: “Il diritto di ogni cittadino gambiano, compreso l’ex presidente Jammeh, di tornare nel Paese è garantito dalla Costituzione e rispettato dal diritto internazionale”. Tuttavia, chiarisce il governo, questo diritto “non protegge dalla responsabilità per presunti crimini gravi, accertati da prove credibili e documentati dal lavoro della Commissione per la verità, la riconciliazione e le riparazioni”.


