È stata una giornata caotica ieri a Luanda, la capitale dell’Angola, iniziata con la paralisi dello sciopero dei taxi e degenerata in saccheggi e distruzioni di massa. Una giornata piuttosto inedita per l’Angola, ma che traduce il grande e crescente malessere della popolazione, dinanzi a un costo della vita sempre più insostenibile e a un’élite governante sempre più criticata.
Ieri mattina migliaia di luandesi sono rimasti bloccati dallo sciopero dei tassisti, decretato per rivendicare migliori condizioni e protestare contro l’aumento del carburante e, di conseguenza, delle tariffe del trasporto pubblico deciso dal governo nell’ambito della graduale revoca dei sussidi. Il taxi è uno dei mezzi più usati dalla popolazione per recarsi al lavoro o ad altre occupazioni, e lunghe file d’attesa si sono formate nelle strade, doprattutto nei quartieri di periferia. Alcuni hanno cercato di farsi dare un passaggio da autisti privati o di prendere alcuni dei bus pubblici.
Ad un certo punto – non è chiaro se coordinati o incitati da qualche movimento particolare – sono iniziati attacchi ai bus di linea con sassate, ed innumerevoli atti di vandalismo contro negozi. Interi supermercati devastati, negozi di abbigliamento, tecnologia, cibo, sono stati svuotati e danneggiati. Molti negozi hanno deciso di chiudere i battenti per timori di essere attaccati. L’ambasciata del Portogallo ha emesso una nota chiedendo ai propri concittadini di rimanere a casa. Numerosi video stanno girando sui social media, sia di semplici cittadini muniti di smartphone che di media privati locali. Su uno di questi, si vede un giovane incendiare il cartellone sul quale è affisso il volto del presidente, Joao Lourenço.
I saccheggi hanno suscitato pareri contrastanti: da un lato la condanna dei furti – “protesta sì, vandalismo no” – che non risolveranno la situazione e gettano nella disperazione i commercianti che non hanno responsabilità nelle decisioni governative. Dall’altra, un certo sostegno e comprensione, essendo la concretizzazione della grande sofferenza del popolo. La povertà spinge all’esasperazione.

“Una società che non ascolta il clamore del popolo va dritto alla tragedia. Scrivo queste parole con le lacrime agli occhi perché ho sentito bambini piangere per la prima volta dopo aver sentito spari, vedo giovani che lottano per la sopravvivenza, madri preoccupate per i propri figli usciti presto per poter andare a lavorare, e donne in preghiera per la salvezza del Paese. Saranno cinquant’anni di indipendenza, ma posso concludere che lo Stato angolano sta regredendo anziché progredire. Perché non aiutare la gente? Perché non lavorare per il bene della società? È difficile provare empatia per il Paese che si sta governando? L’Angola ora piange per la discordia che stiamo vivendo. Che Dio abbia compassione di noi”, ha scritto Amalia Vicente, una giovane angolana di Luanda incontrata nei mesi scorsi da Africa rivista.
Parole condivise da molti, in un Paese dove il 67% della popolazione ha meno di 24 anni, la disoccupazione colpisce il 30% dei giovani, e lo stipendio minimo è di 75 dollari al mese. “Il livello di disperazione è del 100%” commenta un altro angolano, Rui Djassi Moracen.
Secondo il Jornal de Angola, pubblicazione filo governativa, circa cento individui sono stati arrestati per i saccheggi da parte delle forze dell’ordine, e sono stati recuperati alcuni beni rubati. Un centinaio di bus di trasporto sono stati danneggiati, oltre ad un certo numero, non ancora noto, di auto private.
Il leader dell’opposizione (Unita), Adalberto Costa Junior, si è espresso addossando la responsabilità del caos ai manifestanti, e invitando al rispetto della legge, ma anche alla polizia e al governo che “perde la propria autorità morale quando ignora gli appelli del popolo e risponde con arroganza e repressione”.


