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Edizione del 08/12/2025

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isola

    QUADERNI AFRICANI

    Il cammino di Annobón: l’isola dimenticata che immagina Buenos Aires

    di claudia 1 Novembre 2025
    Scritto da claudia

    Di Eleonora Montani – Centro Studi Amistades APS

    La vicenda della piccola isola atlantica, parte della Guinea Equatoriale, che per ragioni storiche, politiche e identitarie, intende percorrere la strada verso una reale indipendenza o, in alternativa, associarsi al Paese sudamericano, torna al centro dell’attenzione internazionale.

    Era il gennaio 1473 quando alcuni esploratori portoghesi approdarono sulle coste di una piccola isola nel golfo dell’attuale Guinea Equatoriale: è a quella “scoperta” che Annobón deve il proprio nome (dal portoghese Ano Bom, “anno buono”).

    Sull’isola, allora disabitata, furono fatte confluire le vittime della tratta atlantica provenienti da altri Paesi del continente africano (tra cui l’Angola). Successivamente, Annobón costituì il campo base per l’evangelizzazione delle stesse e, dopo essere passata per mani spagnole, nuovamente portoghesi e, infine, inglesi, ottenne un’autonomia solo apparente con l’indipendenza della Guinea Equatoriale del 1968, diventando parte integrante del nuovo Stato appena formatosi.

    Tuttavia, il governo centrale guineano non concesse mai rilevanza politica o decisionale ad Annobón che, al contrario, fu abbandonata all’incuria e alla povertà estrema divenendo teatro della nascita di diversi movimenti separatisti, a loro volta oggetto di dure repressioni da parte di Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, allora – e tuttora – Presidente della Guinea Equatoriale. In particolare, a partire dal 1993 il governo guineano isolò ulteriormente Annobón, espellendo le organizzazioni umanitarie e ricorrendo a violenze e arresti indiscriminati dei cittadini annobonesi.

    La repressione di Malabo fu oggetto di diverse inchieste da parte degli organismi internazionali. Nel report “Equatorial Guinea Human Rights” del 1993 sul rispetto diritti umani in Guinea Equatoriale, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America evidenziò che il governo guineano “non investigò seriamente” l’omicidio politico di 6 annobonesi da parte delle forze di sicurezza locali, accusate di “uso eccessivo della forza”, condannò a 28 anni di carcere i capi delle rivolte senza consentire loro l’esercizio di un’adeguata difesa davanti al Tribunale militare e definì la discriminazione contro Annobón “una prassi consolidata”.

    Anche Amnesty International intervenne nel 1993, affermando che le proteste di quello stesso anno erano state causate da uno “stato di povertà abietta” in cui il governo guineano aveva posto l’isola, situazione ulteriormente aggravata dall’assenza di forniture mediche e alimentari da oltre un anno. Vale la pena ricordare che, per ragioni simili, già durante il regime di Francisco Macías Nguema, primoPresidente guineano (1968 – 1979), Annobón era stata vittima di un’epidemia di colera che aveva ucciso oltre 400 persone e fu il Presidente stesso a bloccare gli aiuti della Croce Rossa e di altre organizzazioni umanitarie.

    Un’altra pagina dello sfruttamento dell’isola riguarda lo smaltimento di rifiuti tossici, di cui fu vittima designata. Nel 1988 il Presidente Obiang firmò un contratto con un’impresa nordamericana, incaricandosi di smaltire sull’isola 7 milioni di tonnellate di rifiuti tossici(probabilmente nucleari) provenienti dall’industria occidentale. Obiang ricevette 1,6 milioni di dollari per il primo invio di scorie e fu previsto che annualmente gli invii sarebbero ammontati a circa 720.000 tonnellate.

    Il sentimento autonomistico annobonese culminò nella dichiarazione di indipendenza del 2022, anno in cui Orlando Cartagena Lagar, leader di Ambô Legadu (letteralmente “Annobón libera”) e altri membri del movimento separatista con base in Spagna proclamarono unilateralmente la nascita della Repubblica di Annobón di cui Cartagena Lagar venne nominato Primo Ministro, probabilmente allo scopo di porre l’attenzione della comunità internazionale sulle continue e costanti discriminazioni ai danni dei cittadini dell’isola da parte del regime di Obiang.

    Tale dichiarazione di indipendenza non è stata gradita dal governo della Guinea Equatoriale, la cui Costituzione sancisce che Annobón è parte “inalienabile” del proprio territorio. Sono stati avviati procedimenti giudiziari contro Cartagena e gli altri membri del movimento e da tre anni il territorio dell’isola è presidiato militarmente dal governo centrale.

    Nessuna dichiarazione pubblica o commento sull’indipendenza è giunta da parte del Presidente Obiang né da membri dell’Esecutivo guineano. Stando alle fonti ufficiali del Governo, le comunicazioni riguardanti l’isola vertono esclusivamente sui nuovi investimenti infrastrutturali da parte di Malabo. In questo senso, il Vicepresidente Nguema Obiang Mangue, figlio del Presidente, si è detto “preoccupato” a causa dei gravi problemi elettrici dell’isola che ha ordinato di risolvere per poter proseguire sulla via della “modernizzazione” di Annobón.

    L’ultima tappa della vicenda risale al recente 28 maggio 2025, data in cui i leader di Ambô Legadu hanno ufficialmente richiesto di rendere Annobón un territorio associato all’Argentina. L’istanza, apparentemente singolare stante la distanza di oltre 6.000 km che intercorre tra l’isola guineana e il Paese sudamericano, trova fondamento in un passato storico comune.

    Quando nel 1778 fu siglato il Trattato di El Pardo con cui il Portogallo cedette Annobón alla Spagna, l’isola fu assegnata amministrativamente al Virreinato del río de la Plata, che comprendeva l’attuale territorio di Argentina, Bolivia, Cile, Uruguay e Paraguay, con Buenos Aires come capitale.

    La petizione è apparsa come un grido di aiuto da parte del popolo annobonese, il cui Presidente Obiang è accusato da Cartagena Laga e altri indipendentisti di aver dato vita ad un “lento genocidio” sull’isola. “Stante il legame storico comune”, continua Cartagena, “abbiamo richiesto il supporto dell’Argentina, il riconoscimento del nostro Paese, del nostro movimento e della nostra battaglia per la libertà”.

    In un’intervista radiofonica condotta da coloro i quali, dall’altra sponda dell’Atlantico, fanno notare che l’Argentina versa in una situazione interna piuttosto critica e che probabilmente non riuscirebbe ad accogliere le istanze annobonesi, Cartagena afferma: “un conto sono le questioni interne ma dobbiamo ricordare che il popolo di Annobón vive una fase di sterminio totale: mentre gli altri Paesi lottano per altri problemi, noi lottiamo per la nostra vita”.

    A seguito della visita in Argentina dei membri del movimento secessionista annobonese alla ricerca di sostegno internazionale, il governo Milei si è mantenuto al margine per evitare di prendere posizione in una tensione geopolitica tanto “scomoda e lontana”.

    Ciononostante, a seguito dell’incontro ad Addis Abeba del maggio scorso tra l’ambasciatore argentino in Etiopia e il suo omologo di Malabo, la linea sostenuta dalla Repubblica Argentina appare quella di una “forte volontà di rafforzare le relazioni di amicizia con la Guinea Equatoriale” e di “dissociazione da qualsiasi simpatia o relazione con movimenti che attentino all’integrità territoriale di popoli amici come i guineani”.

    Allo stato attuale, appare altamente improbabile che le richieste degli indipendentisti annobonesi vengano accolte, nel silenzio di una comunità internazionale insensibile alle istanze autonomistiche dell’isola e di un governo argentino ben lontano dall’intenzione di generare nuovi contrasti geopolitici con i propri partner africani.

    Tuttavia, gli ultimi sviluppi hanno irrevocabilmente acceso i riflettori sui massacri perpetrati ai danni del popolo di Annobón e sull’autodeterminazione dello stesso. Emblematica, a tal proposito, risulta essere l’adesione di Annobón alla Unrepresented Nations and Peoples Organization (UNPO) nel maggio 2024, organizzazione internazionale che ha lo scopo di rappresentare minoranze etniche, popoli indigeni e territori occupati o non riconosciuti e che vanta membri del calibro di Taiwan e del Kurdistan iraniano.

    Sarà questo un primo passo che darà finalmente luce alla “questione Annobón”?

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