di Céline Camoin
Il balletto classico, storicamente legato a contesti elitari e bianchi, sta trovando una nuova vita nelle periferie africane grazie a scuole e compagnie come il Joburg Ballet. Attraverso la passione e l’impegno, giovani talenti provenienti da contesti svantaggiati stanno dimostrando che i sogni, anche quelli apparentemente impossibili, possono diventare realtà.
“Dream the impossible dream” – sogna il sogno impossibile – è il messaggio del Joburg Ballet, prestigiosa compagnia di danza classica e balletto di Johannesburg, mentre mette in scena il classico spagnolo Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes Saavedra, punta di diamante della stagione 2023. Lo slogan, evidenziato in un’intervista al Ceo del Joburg Ballet, Elroy Fillis-Bell, sul canale televisivo Enca, potrebbe rivolgersi a tutti i giovani che sognano di fluttuare su un palcoscenico con la grazia di un cigno. Sogno non più irraggiungibile, come ha ben dimostrato la ballerina sulle punte africana più famosa al mondo, Kitty Phetla, che dai vicoli di lamiera di Soweto è cresciuta artisticamente nelle aule del Joburg Theater. Kitty si è imposta all’attenzione del grande pubblico con un ruolo da protagonista nel balletto La morte del cigno, interpretato in modo magistrale e originale pur rimanendo fedele allo spirito con cui fu ideato. Dieci anni di esibizioni sui più importanti palcoscenici l’hanno fatta apprezzare anche fuori dal Sudafrica: in Europa, Stati Uniti, Russia, Cuba e Giappone.
Porta d’ingresso a una vita migliore
Il balletto classico è stato tuttavia uno degli elementi culturali di divisione tra neri e bianchi, a maggior ragione in Sudafrica. Sotto il regime dell’apartheid la disciplina, nonché le sue rappresentazioni, erano riservate alla categoria bianca e benestante. Per la generazione contemporanea di persone nere, il balletto è una disciplina nuova, ma tanti sforzi sono stati profusi perché raggiunga ogni classe sociale, indipendentemente dal colore della pelle, e indipendentemente dal sesso.
La Joburg Ballet School, accademia del Joburg Ballet, è impegnata in questa sfida. Inaugurata nel 2012, è una struttura di formazione per giovani, in vista di un inserimento professionale. Lavora anche con bambini provenienti da aree storicamente svantaggiate. Gli studenti hanno regolarmente opportunità di esibirsi nelle produzioni del Joburg Ballet che richiedono bambini nel cast.

Jo-Anne Wyngaard, Tshego Masoabi e Carmen Patterson-Walz sono le insegnanti dell’accademia. Lavorano anche nelle scuole “satelliti”, nelle periferie di Soweto, Alexandra, e Braamfontein, quest’ultima nel centro di Johannesburg. Molti genitori sottolineano che i loro figli non stanno imparando solo il balletto, base per molte altre forme di danza, ma anche la disciplina, caratteristica centrale e fondamentale nel balletto. La dance room è vista da molti di questi giovani come porta d’ingresso a una vita migliore, per lo sviluppo dell’autostima, e l’accesso a un percorso di studio.
Il Joburg Ballet, già South African Ballet Theatre, è, come si è ben capito, una compagnia professionale, dedita alla crescita e alla rivitalizzazione della grande eredità del balletto classico e allo sviluppo di nuovi coreografi, nuove opere e nuovo pubblico da tutto il Sudafrica. Se le figure più emblematiche del corpo di ballo sono professionisti internazionali, il “Junior Corps de Ballet” recluta sempre più spesso giovani talenti sudafricani, oltre che neri. Ogni anno giovani provenienti dal programma di sviluppo nelle township riescono a entrare nella Scuola nazionale delle arti o proprio nel Ballet di Johannesburg.

Volando (sulle punte) oltreoceano
Ben distante dalle radici musicali e dai balli “afro”, il balletto classico era sconosciuto persino alla madre di Joel Kioko, oggi ballerino keniano professionista nel Regno Unito, finché non le fu comunicato, ormai qualche anno fa, che suo figlio sarebbe andato ad allenarsi negli Stati Uniti. «Capii solo allora che era una cosa seria», spiegò alla Bbc. Originario di un quartiere popolare di Nairobi, la capitale del Kenya, Kioko proviene dal Dance Centre Kenya (Dck), fondato nel gennaio 2015 e cresciuto fino a diventare la più importante scuola di danza keniana, con oltre 700 studenti che frequentano le lezioni nei tre studi Dck (Karen Hardy, Lavington e Rosslyn) e circa altri 1.000 che frequentano le lezioni tenute in 22 scuole di tutta Nairobi. La ballerina professionista americana Cooper Rust ne è, dagli esordi, la direttrice artistica.
Per la stagione 2021-22, Joel Kioko ha ricevuto un contratto per ballare con il Joffrey Ballet di Chicago. Il Dck non ha nemmeno dieci anni di vita, forse il minimo per uno studente che voglia tentare la carriera da professionista. Finora non esiste una vera compagnia di balletto professionale in Kenya. La giovane Lavender Orisa potrebbe diventare la seconda ballerina del Dck a spiccare il volo. Ha ottenuto una borsa di studio per entrare alla English National Ballet School di Londra. Dallo slum di Kibera dov’è nata, 18 anni fa, alla capitale britannica, è un percorso che la giovane e talentuosa danzatrice non aveva immaginato. Nemmeno in sogno. Eppure ce l’ha fatta, e oggi è vista come una fonte di ispirazione.

Lotta ai pregiudizi
Fin dall’inizio il Dkc si è impegnato a raggiungere la comunità keniana locale e a trovare studenti di talento, indipendentemente dalla loro capacità di pagarsi la formazione. Il programma di borse di studio, in collaborazione con l’organizzazione di beneficenza americana Artists for Africa, ha già influenzato la vita di molti futuri ballerini venuti da contesti svantaggiati.
Avvicinarsi alla danza classica in una township è difficilissimo, non solo perché mancano le strutture, non solo perché serve tanto impegno fisico e mentale, ma anche perché si è confrontati al giudizio popolare. «Spesso mi hanno preso in giro», racconta Joel Kioko, così come molti ragazzi che hanno aderito ai corsi di balletto nelle varie scuole africane, perché si identifica la danza classica con ragazze con chignon e in tutù.
L’Africa conta ormai diverse scuole danza classica, molte delle quali hanno programmi per ragazzi di aree e ambienti svantaggiati. È il caso della Gambia Ballet Factory, basata a Serrekunda in Gambia, che organizza lezioni gratuite e laboratori didattici in scuole e centri locali introducendo i concetti di base di balletto classico, movimento, apprezzamento della musica, ritmo ed equilibrio. Icona del centro è la ballerina Michaela DePrince, orfana di guerra in Sierra Leone, adottata da una famiglia del New Jersey e diventata Prima Ballerina del Dutch National Ballet.

Un esempio di successo, il suo, che fa clamore. Oggi ancora, la stragrande maggioranza degli artisti di balletto mondialmente conosciuti hanno la carnagione bianca. Risale a quattro o cinque anni fa l’emblematica denuncia pubblica, per razzismo, di Chloé Lopes Gomes, nata a Nizza in un’umile famiglia di origini algerine e capoverdiane, diventata prima ballerina nera allo Staatsballett di Berlino. In diverse interviste ha parlato di continui attacchi e offese per il suo aspetto, per il colore della pelle e i suoi ricci afro. «Una maestra di ballo mi ha chiesto di schiarirmi il volto con il trucco per interpretare Il lago dei cigni di Ciaikovski», ha raccontato. È solo l’anno scorso, nel 2023, che per la prima volta un ballerino di classica ha ottenuto il rango di Étoile all’Opéra di Parigi. Si tratta di Guillaume Diop, madre francese e padre senegalese.
Volteggi nel fango
Il panorama della danza sta cambiando e l’ennesima dimostrazione arriva da un sobborgo di Lagos, capitale economica della Nigeria, dove è stato girato il video – diventato virale – di Anthony, 11 anni, che scalzo e sotto la pioggia cerca finemente l’equilibrio mentre esegue una successione di pirouette e brisé. Il ragazzo è studente della Leap Of Dance Academy, nata nel 2017 su iniziativa di Daniel Owoseni Ayala, un appassionato di danza classica che decise di mettere a disposizione di giovani del quartiere la sua arte, senza chiedere nulla in cambio, se non passione e ambizione. Un pavimento in cemento irregolare e sconnesso sostituisce quello tradizionale. Alla parete, le barre per gli esercizi qui sono di metallo, progettate per resistere al caldo opprimente e alla pioggia torrenziale. «Il nostro è un quartiere popolare e gli allievi della scuola provengono da situazioni familiari spesso difficili», spiega Daniel. «Grazie alla danza questi bambini ricevono attenzioni e stimoli per migliorarsi: mentre apprendono i passi rafforzano la fiducia in sé. E ciò è particolarmente importante in un ambiente disagiato dove la violenza è pane quotidiano».

La danza come ossigeno, come appiglio per non scivolare. Daniel cullava da tempo il sogno di aprire una sua scuola. Un giorno ha lanciato dal suo smartphone un appello sui social network per ottenere un aiuto. L’associazione americana Traveling Tutus gli ha inviato indumenti e scarpette per gli allievi: il necessario per avviare l’attività. Poco alla volta, i primi ballerini sono emersi dalle lamiere di Ajangbadi. I video delle loro performance hanno fatto il giro del mondo ed emozionato milioni di persone. Teatri e accademie di ogni continente offrono di aiutare. «Non mi sarei mai aspettato un successo simile – si schermisce Daniel –. E chissà che qualche allievo possa approdare in un prestigioso palcoscenico: nulla è impossibile nella danza».
Questo articolo è uscito sul numero 6/2024 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia, o visita l’e-shop.