di Sibongile Maluleke
Visita guidata alla Città Madre del Sudafrica, vibrante e scenografica, metropoli fra le più belle e complesse al mondo. Incastonata fra l’Atlantico e la maestosa Table Mountain, Città del Capo è una città che unisce la bellezza selvaggia del paesaggio alla complessità del suo passato. Dalle origini coloniali e dalla segregazione dell’apartheid, alla vivace multiculturalità che oggi caratterizza i quartieri come Bo-Kaap, ogni angolo della città racconta una storia di resilienza e trasformazione.
Il vento che soffia dal mare avvolge Città del Capo in un’atmosfera vibrante e carica di energia. Nasce dalle acque burrascose che lambiscono l’estremo confine meridionale dell’Africa, dove correnti potenti e tempeste hanno determinato la sorte di molti marinai nel corso dei secoli. Gli abitanti lo chiamano affettuosamente “Cape Doctor” (“il dottore del Capo”), considerandolo un portatore di buon auspicio. Si dice che il vento spazzi via tutte le negatività, purificando l’aria della città e regalando un clima fresco e salutare.
Quando l’umidità marina si solleva lungo le ripide pareti della Table Mountain, si trasforma in una coltre bianca che avvolge la cima piatta come una gigantesca tovaglia, regalando un suggestivo spettacolo naturale che domina lo skyline di Città del Capo. Questa montagna imponente, alta 1.086 metri, è il simbolo indiscusso della città e si erge come una sentinella che veglia su cinque milioni di abitanti, sospesi tra l’Oceano Atlantico e il cielo, in un continuo gioco di luci e ombre. Nessun’altra città al mondo può vantare un panorama così grandioso che si intreccia con il fascino selvaggio dell’ultima frontiera. Un luogo intriso di storia, leggende e avventure epiche.
Incontri e scontri
Città del Capo – chiamata non a caso la Città Madre del Sudafrica – ha avuto origine grazie alla sua posizione strategica lungo le rotte commerciali marittime. Quando la Compagnia Olandese delle Indie Orientali (Voc) fondò la città nel 1652, si trattava solo di un piccolo avamposto destinato al rifornimento delle navi dirette all’Estremo Oriente. La comunità di marinai che vi si insediò rischiava di essere decimata dalla fame e dalle malattie. Tuttavia, quel piccolo nucleo sarebbe presto cresciuto, portando con sé drammatici conflitti e violenti scontri. I primi a subirne le conseguenze furono i popoli indigeni, i Khoi e i San, a cui furono progressivamente sottratte terre fertili e sorgenti d’acqua dolce attraverso l’uso delle armi. Nel 1660, Jan van Riebeeck, comandante della spedizione Voc, ordinò di piantare una lunga siepe di mandorli per delimitare i confini dell’insediamento e impedire alle comunità locali di accedere alle terre conquistate dai coloni. Quella barriera vegetale, che si estendeva dalle pendici occidentali della Table Mountain fino al mare, rappresenta il primo tentativo di separazione tra colonizzatori europei e popolazioni indigene, anticipando di tre secoli l’istituzione dell’apartheid (che in afrikaans significa appunto “separazione”). Resti della siepe sono ancora visibili oggi nei Giardini botanici di Kirstenbosch, un richiamo silenzioso alla storia complessa della città.
Città del Capo, in origine poco più di villaggio fortificato, non poteva basare la propria espansione solo sulla forza militare. Per sostenere l’insediamento fu necessario attrarre nuovi coloni e procurarsi manodopera a basso costo. Decine di immigrati giunsero dall’Olanda, dalla Francia e, in seguito, dall’Inghilterra. Tuttavia servivano braccia per lavorare le terre e costruire la città. Van Riebeeck iniziò così a importare schiavi dal Madagascar, dall’India, dalla Malesia e dall’Indonesia, decisione che avrebbe lasciato un’impronta indelebile sul tessuto sociale e culturale della città. L’eredità di quei primi schiavi si riflette ancora oggi non solo nei volti della gente ma anche nel carattere vibrante della città. Il quartiere di Bo-Kaap, con le sue case dai colori sgargianti e le strade acciottolate, è la testimonianza vivente della comunità Cape Malay, discendente di quegli schiavi che seppero forgiare un’identità comune nella diversità. L’atmosfera di Bo-Kaap, dove le influenze culturali e culinarie del Sud-est asiatico si fondono con la storia locale, racconta di una città che è sempre stata un crocevia di popoli, lingue e tradizioni.

Township, dolenti e vibranti
Ovviamente questa caotica promiscuità e il suo meticciamento culturale non piacevano agli architetti dell’apartheid, che volevano un Sudafrica diviso secondo rigidi criteri razziali. A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, il governo di Pretoria attuò una politica di segregazione che portò all’espulsione di molte comunità nere e meticce dalle loro case storiche. In nome della “pianificazione urbana”, le persone vennero trasferite in massa nelle periferie della città, dando vita alle township che dominano le vastissime Cape Flats. Malgrado siano passati trent’anni dalla fine dell’apartheid, le township restano una ferita aperta, dove le statistiche denunciano un 60% di disoccupazione giovanile, e gang violente si contendono il controllo del territorio e di traffici illeciti. Eppure, per comprendere veramente l’essenza della città, è essenziale immergersi in queste vaste baraccopoli non lontane dal centro (sempre accompagnati da guide ufficiali e agenzie locali specializzate), dove si cela una realtà che va oltre le immagini patinate delle guide turistiche.
Quartieri come Khayelitsha e Langa portano ancora i segni della brutalità storica, ma pulsano anche di una forza culturale vibrante. Camminare per le loro strade polverose significa scoprire una vitalità fatta di musica, arte e vita di quartiere, dove la lotta quotidiana per condizioni migliori si intreccia con un profondo senso di appartenenza. Le voci degli abitanti raccontano una storia di resistenza e speranza. Qui, la narrazione si arricchisce dei ricordi di chi ha vissuto la città nei suoi momenti più bui e oggi continua a battersi per un futuro migliore. Alcuni tour organizzati permettono di esplorare Langa, il più antico dei quartieri, dove le storie della comunità prendono vita attraverso laboratori d’artigianato, festival di musica jazz e incontri con i residenti. Artisti come Hugh Masekela e Dollar Brand hanno trovato fra queste strade l’ispirazione per le loro opere, dando voce alla creatività nata dalla lotta e dalla resilienza.
Lo spirito di District Six
Città del Capo custodisce una memoria dolorosa in ogni angolo, e District Six è uno dei capitoli più simbolici della sua storia travagliata. Un tempo quartiere vibrante e multiculturale, abitato da artisti, musicisti, operai e commercianti, negli anni Sessanta, sotto il regime dell’apartheid, fu brutalmente svuotato quando il governo dichiarò l’area “riservata ai bianchi” e costrinse oltre 60.000 persone, principalmente di origine mista e nera, a lasciare le loro case per trasferirsi nelle township periferiche. Le abitazioni furono rase al suolo, lasciando dietro di sé solo macerie e memorie spezzate.
Oggi, il District Six Museum, ospitato in una chiesa sconsacrata, ricorda quel trauma e celebra al contempo la vita e la resilienza di una comunità. Le sale del museo sono intrise di storie personali, foto di famiglia, mappe del quartiere com’era un tempo e testimonianze scritte sui muri, dando voce a chi è stato esiliato dalla propria casa. Partecipare a una visita guidata, condotta dagli ex residenti, permette di vivere un’esperienza toccante, dove il racconto diventa una testimonianza di dolore e speranza, un invito alla riconciliazione e alla costruzione di un futuro condiviso.

Luoghi della memoria
Ma la città è piena di altri luoghi che invitano a riflettere sul passato e sul percorso verso la libertà. Il Castle of Good Hope, la più antica struttura coloniale del Sudafrica, eretto dagli olandesi nel 1666, domina ancora il paesaggio urbano come una fortezza silenziosa. Il museo all’interno esplora il passato coloniale del Sudafrica, con esposizioni che vanno dall’arte militare alla vita quotidiana di soldati e abitanti. Non lontano, la Slave Lodge racconta un’altra pagina dolorosa, quella della schiavitù. Originariamente utilizzata come prigione per schiavi portati dall’Asia, dall’Africa e dai Caraibi, oggi il museo è un tributo alla lotta per i diritti umani e testimonia quanto profondamente il passato abbia influenzato il volto della città. Altro luogo emblematico della resistenza è la St George’s Cathedral, la “Cattedrale del Popolo”, dove l’arcivescovo Desmond Tutu predicò la non-violenza e chiamò a raccolta il movimento anti-apartheid.
La cattedrale, primo luogo di culto in Sudafrica a dichiararsi ufficialmente aperto a tutti, è oggi un simbolo di uguaglianza e ospita mostre sui diritti civili nella cripta. Il cuore politico della città batte forte davanti alla House of Parliament, dove Nelson Mandela, nel 1994, pronunciò il suo primo discorso da presidente democraticamente eletto, un momento storico che segnò la fine dell’apartheid e l’inizio di una nuova era. La visita ai giardini circostanti, i Company’s Garden, offre un’oasi di pace nel cuore del centro cittadino, dove si può passeggiare all’ombra di alberi secolari e ammirare l’antica architettura coloniale. Un’esperienza che va oltre la semplice visita turistica è senza dubbio la traversata fino a Robben Island, che dista circa 12 chilometri dalla costa. Questo luogo di prigionia, che ha ospitato figure di spicco della lotta contro l’apartheid come Nelson Mandela, è oggi un simbolo di resistenza e riconciliazione. Il tour dell’isola è condotto da ex detenuti che raccontano le loro esperienze personali, rendendo la visita non solo un’occasione di riflessione storica, ma anche un incontro con chi ha vissuto in prima persona la brutalità della segregazione.

Panorami impareggiabili
Cape Town è la vetrina delle lacerazioni e delle diseguaglianze sociali che spaccano ancora la società sudafricana: da una parte i grattacieli, le ville coloniali, i grandi parchi, le piscine, i campi da golf e le molte attrazioni turistiche, dall’altra baraccopoli di lamiere con una latrina ogni mille persone. Ma sarebbe ingeneroso guardare a questa vibrante città solo con le lenti della sua storia dolorosa. Per avere una vista suggestiva sui suoi quartieri si può salire sulle vette di Devil’s Peak e Lion’s Head, le due montagne che, insieme a Table Mountain, definiscono il profilo della città. Devil’s Peak, con la sua storia leggendaria e i sentieri tortuosi, offre viste mozzafiato e un’esperienza escursionistica che premia con panorami spettacolari sul centro urbano e sull’oceano. Lion’s Head, con la sua forma distintiva e l’accesso più agevole, è la scelta ideale per chi cerca un’alba o un tramonto indimenticabile, con Cape Town che si accende di luci sotto il cielo aranciato.
In alternativa, per chi ama il silenzio e la natura, ci si può arrampicare sulla Table Mountain, percorrendo uno dei sentieri che si inerpicano tra la vegetazione, o salire con la funicolare nel tardo pomeriggio, per godersi lo spettacolo mozzafiato del tramonto, magari sorseggiando come aperitivo un calice di ottimo vino sudafricano in compagnia di amici. Raggiungere la sommità della montagna significa conquistarsi una vista che toglie il fiato: l’oceano che si stende a perdita d’occhio, la città che si estende sotto, e il profilo della penisola che si snoda verso sud. La montagna, patrimonio dell’umanità UNESCO, ospita una biodiversità unica al mondo, caratterizzata dal fynbos, una vegetazione tipica del Capo ricca di specie endemiche che fioriscono tra rocce e dirupi.
Negozi, mercatini, locali
Cape Town è anche una città alla moda, dove i locali riflettono la creatività e l’energia dei suoi abitanti. Bree Street e Kloof Street sono diventate veri e propri epicentri della vita notturna, con ristoranti che spaziano dalla cucina fusion a piatti tradizionali sudafricani reinterpretati in chiave moderna. Locali come “The Gin Bar,” nascosto dietro un cortile segreto, e “The House of Machines,” dove musica live e cocktail artigianali creano un’atmosfera inebriante, rappresentano il lato più cosmopolita e giovane della città. Il volto più mondano e vivace di Cape Town si svela al Victoria & Alfred Waterfront. Questo antico porto è stato trasformato in un’area piena di ristoranti, negozi e intrattenimento, ma senza perdere del tutto il suo legame con il passato. Le antiche banchine, un tempo luogo di lavoro per i portuali, sono ora affollate di turisti che passeggiano lungo i moli, mentre le barche a vela dondolano nell’acqua. È un punto d’incontro perfetto tra vecchio e nuovo, dove i caffè si alternano ai mercati artigianali e agli spazi espositivi dedicati alla cultura e alla storia sudafricana. Cape Town, è anche un centro culturale dinamico, dove l’arte e la creatività trovano espressione in spazi come il South African National Gallery e il Zeitz Museum of Contemporary Art Africa.
La National Gallery, situata nei Company’s Garden, espone una ricca collezione di opere che spaziano dall’arte coloniale all’arte contemporanea sudafricana, con un occhio di riguardo per gli artisti che hanno sfidato le norme sociali e politiche del loro tempo. Il Zeitz MOCAA, invece, è il più grande museo d’arte contemporanea africana del continente, ospitato in un antico silo di grano trasformato in uno spazio avveniristico che rende omaggio alla vitalità e alla diversità artistica dell’Africa contemporanea. Per chi desidera immergersi nella vita quotidiana della città, i mercatini tradizionali offrono un’opportunità unica di esplorare la cultura locale. The Bay Harbour Market a Hout Bay, il Neighbourgoods Market a Woodstock e i mercatini lungo Long Street offrono un caleidoscopio di colori, sapori e suoni, tra artigianato locale, cibo di strada e musica dal vivo. Passeggiare tra le bancarelle significa scoprire il volto più autentico di Cape Town, dove gli abitanti si incontrano, socializzano e celebrano le loro tradizioni.

Luoghi di puro incanto
Noleggiando un’auto, si può esplorare la costa atlantica e le spiagge incontaminate che si estendono a sud della città, dove la bellezza della natura prende il sopravvento ed è possibile vivere momenti di puro incanto, Seguendo la costa atlantica, si incontrano alcune delle spiagge più suggestive del Sudafrica, luoghi che sembrano usciti da un sogno tropicale. Le baie di Clifton, con le sue quattro spiagge riparate dal vento, offrono angoli tranquilli in cui godersi il sole, circondati da eleganti residenze. Più a sud, Camps Bay incanta con le sue distese di sabbia finissima e i ristoranti alla moda, dove il mare turchese si infrange contro gli scogli creando uno scenario mozzafiato. A Llandudno, invece, si trovano spiagge più appartate, frequentate da surfisti e amanti del tramonto, che qui assume sfumature dorate e rosate. Ma è proseguendo verso la Penisola del Capo che la natura rivela il suo lato più selvaggio e incontaminato.
Il Parco Nazionale di Table Mountain si estende fino al Capo di Buona Speranza, un luogo che da secoli suscita un fascino magnetico. Qui, la maestosità delle scogliere a picco sull’oceano incontra la forza impetuosa dei venti, offrendo panorami che tolgono il fiato e un senso di vastità che cattura lo sguardo. Il punto d’incontro tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano crea un ambiente unico, dove le acque tumultuose testimoniano le antiche rotte delle esplorazioni marittime. Lungo il percorso, la riserva naturale di Cape Point invita a percorrere sentieri che attraversano fynbos rigogliosi, una vegetazione endemica e straordinariamente diversificata, ammirando il volo dei cormorani e delle sule che nidificano sulle rocce. E poi ci sono le spiagge selvagge di Noordhoek e Scarborough, dove la sabbia si estende per chilometri e le onde attirano i surfisti più esperti. La costa della Penisola del Capo è un susseguirsi di bellezze naturali che affascinano e lasciano un segno indelebile nei cuori di chi le visita.
Questo articolo è uscito sul numero 2/2025 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.



