di Céline Camoin
L’Alleanza degli Stati del Sahel – Mali, Burkina Faso e Niger – punta a rafforzare l’integrazione economica e la cooperazione in materia di sicurezza, introducendo una moneta comune, un passaporto unico e strategie condivise contro il terrorismo. Questi sviluppi potrebbero segnare una svolta nella lotta contro lo Jnim, gruppo jihadista affiliato ad al-Qaeda, che sfrutta instabilità, tensioni etniche e risorse illecite per espandersi nella regione.
L’Alleanza degli Stati del Sahel, formata da Mali, Burkina Faso e Niger, ha avviato iniziative per una moneta comune, un passaporto e politiche economiche e di sicurezza condivise. Queste misure potrebbero gettare le basi per nuove strategie regionali contro organizzazioni terroristiche come la Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin (Jnim). Nel presentare tale ipotesi, il ricercatore turco Goktug Caliskan raccomanda ai governi di adottare politiche inclusive volte a risollevare le popolazioni locali e coinvolgerle nella governance regionale, enfatizzando il concetto di “vivere insieme in pace”.
“Tali misure possono ridurre significativamente l’influenza e la portata operativa del gruppo. Inoltre, migliorare l’accesso all’istruzione, all’assistenza sanitaria e al cibo in queste nazioni, promuovendo tali sforzi attraverso la lente del panafricanismo, potrebbe rappresentare un altro fronte cruciale per contrastare l’espansione dello Jnim”, scrive Caliskan in un’analisi per l’Ankara Center for Crisis and Policy Studies (Amkasam).
Il futuro livello di minaccia rappresentato dallo Jnim dipenderà dai vuoti di potere nel Sahel e dal calo dell’impegno internazionale: “Il gruppo ha il potenziale per espandersi in nuove aree in un contesto di continua instabilità. Ad esempio, i disordini politici in Niger o il perdurare del conflitto in Burkina Faso potrebbero accelerarne la diffusione. Per limitare l’impatto a lungo termine dello Jnim, è essenziale attuare programmi di contrasto alla radicalizzazione e promuovere collaborazioni transnazionali in materia di sicurezza. In caso contrario, il rischio che il gruppo si espanda oltre il Sahel potrebbe innescare una nuova ondata di minacce alla sicurezza globale”.
Lo Jnim continua a rappresentare una minaccia complessa che mina la stabilità della regione del Sahel. L’uso dell’ideologia religiosa da parte del gruppo per attrarre le popolazioni locali, lo sfruttamento delle risorse economiche e la capacità di manipolare le tensioni etniche costituiscono una sfida alla sicurezza di lungo periodo. Per neutralizzare questa minaccia, le strategie militari devono essere affiancate da politiche che promuovano la giustizia sociale e lo sviluppo economico, insiste il ricercatore.

Lo Jnim è noto per essere una delle organizzazioni jihadiste più pericolose operanti nel triangolo Mali–Burkina Faso–Niger. Creato con l’integrazione di quattro gruppi affiliati ad al-Qaeda (Ansar Dine, Aqmi Sahara Emirate, Al-Murabitun e Fronte di Liberazione di Macina), colma costantemente i vuoti di potere nell’area, minandone la stabilità. Il leader dell’organizzazione, Iyad Ag Ghali, è emerso come attore chiave durante la rivolta del Mali del 2012 e ha consolidato le fondamenta ideologiche dello Jnim giurando fedeltà ad al-Qaeda. La sua identità tuareg e la leadership personale contribuiscono al sostegno del gruppo tra le comunità locali.
Le operazioni dello Jnim aggravano la crisi di sicurezza nel Sahel. Il gruppo organizza attacchi coordinati contro basi militari, missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite e la Forza Congiunta del G5 Sahel. Tra il 2019 e il 2021, la violenza riconducibile allo Jnim è aumentata in modo significativo: solo nel 2021 sono stati registrati oltre 1.300 attacchi in Burkina Faso. Un attacco del 2018 a Ouagadougou, in cui furono uccisi otto membri delle forze di sicurezza, ha dimostrato la capacità del gruppo di colpire anche nei principali centri urbani. L’organizzazione sfrutta le debolezze delle forze statali, alimentando il caos diffuso.
Al centro della forza operativa dello Jnim si trova la sua struttura finanziaria. Il gruppo genera reddito attraverso rapimenti a scopo di estorsione, estorsioni sistematiche e varie operazioni di contrabbando. Nell’ottobre 2020 è stato denunciato che il governo maliano avrebbe pagato circa 10 milioni di euro per il rilascio dell’ostaggio francese Sophie Pétronin e di altri. Il contrabbando di oro è una delle fonti di reddito più significative. Secondo il rapporto Swissaid del 2024, sebbene la produzione annua ufficiale di oro del Mali sia di 6 tonnellate, la produzione effettiva è stimata tra le 30 e le 57 tonnellate. Nel 2023, gli Emirati Arabi Uniti hanno importato oro dal Mali per un valore di 4,83 miliardi di dollari, mentre i dati ufficiali maliani indicano cifre molto inferiori, a dimostrazione dell’entità del commercio non registrato e del potenziale di profitto per gruppi come lo Jnim. Questo potere finanziario rafforza la capacità del gruppo di procurarsi armi e reclutare militanti.

Le risorse economiche dello Jnim alimentano anche la sua strategia di radicalizzazione delle comunità locali. Come scrive Caliskan, il gruppo prende di mira in particolare la popolazione Fulani nella regione di Mopti, in Mali. Le politiche discriminatorie adottate dalle forze statali spingono i giovani Fulani verso le reti di propaganda dello Jnim. Il Fronte di Liberazione di Macina sfrutta rivendicazioni storiche e legami culturali con l’antico Impero di Macina per intensificare il processo di radicalizzazione. Questa strategia aggrava le tensioni etniche e indebolisce il tessuto sociale.
Nei territori sotto il suo controllo, lo Jnim agisce non solo come gruppo terroristico, ma anche come attore socio-politico. Nelle aree dove l’autorità statale è debole, cerca di istituire modelli di “governance alternativa” per soddisfare i bisogni primari delle popolazioni locali, operando di fatto come una struttura parallela. In alcune zone rurali del Mali, ad esempio, lo Jnim ha istituito sistemi giudiziari improvvisati per risolvere le controversie e fornisce servizi sociali finanziati attraverso estorsioni mascherate da zakat, la donazione obbligatoria. Questo approccio consente al gruppo di acquisire una certa legittimità agli occhi delle comunità, erodendo ulteriormente la credibilità dello Stato. Tuttavia, il modello di governance dello Jnim si basa spesso sulla coercizione e sulla paura, rendendo fragile il consenso locale. Questa dinamica rafforza le strategie di radicalizzazione del gruppo e sottolinea l’urgente necessità di migliorare le capacità di governance statale.