“Ti sottopongono a torture sessuali e ti dicono che se parli verrai denunciato alla tua famiglia e tutto il resto”. A parlare, ieri a Nairobi in una conferenza stampa spettrale, è stato Boniface Mwangi, notissimo attivista keniano, che insieme ad Agather Atuhaire, attivista ugandese, ha raccontato alla stampa la sua disavventura tanzaniana.
“Quello che mi hanno fatto è stato spezzarmi la schiena. Poi hanno iniziato a picchiarmi sui piedi… Urlavo così forte. Non riuscivo a respirare. Eppure, non mi uscivano lacrime per il dolore che provavo”: le parole di Mwangi sono un pugno nello stomaco e, allo stesso tempo, un atto d’accusa gravissimo verso il governo tanzaniano e le sue forze di polizia, che il 19 maggio hanno arrestato entrambi in un hotel a Dar Es Salaam, dove si trovavano per partecipare alla prima udienza del processo all’oppositore tanzaniano Tundu Lissu, leader del partito Chadema. “Mi mettevano degli oggetti nell’ano e poi dicevano: ‘Dì che ti senti bene, dì che ti piace’. Poi dicevano: ‘Dì asante (“grazie” in swahili) Samia, asante Samia’, e io rispondevo ‘asante’ al loro presidente” ha detto Mwangi, il volto spento, gli occhi addolorati, il fisico ancora provato da quelle ore terribili. “Siamo qui per condividere la nostra storia e per dire che i nostri corpi possono essere distrutti, ma il nostro spirito è forte”.
La scorsa settimana, la presidente tanzaniana Samia Suluhu Hassan ha accusato gli attivisti stranieri di aver tentato di “intromettersi e interferire” negli affari interni della Tanzania, suscitando critiche a livello internazionale ma anche le scuse ufficiali del presidente keniano William Ruto. Il giorno dei rapimenti, a metà maggio, la presidente tanzaniana esortò i suoi servizi di sicurezza “a non permettere a individui maleducati provenienti da altri Paesi di oltrepassare il confine”.

Agather Atuhaire, che sedeva accanto a Mwangi alla conferenza stampa di ieri a Nairobi, ha rivelato di aver presentato una denuncia penale contro le autorità tanzaniane e di voler far sentire la sua voce: “L’unica cosa che desidero è la giustizia” ha detto l’attivista, anch’essa con gli occhi spenti: “È ciò che mi ha permesso di resistere in questa situazione: vengo da un Paese fortemente dittatoriale, dove regna l’impunità. Ma non avrei mai immaginato un giorno di trovare un Paese straniero peggiore, con un governo peggiore”. Atuhaire è ugandese e nel suo Paese è molto nota come attivista politica. Anche lei arrestata a Dar, è scomparsa per quattro giorni prima di ricomparire al confine con l’Uganda, dove è stata abbandonata da agenti della sicurezza tanzaniana. Proprio come lei, ma il giorno prima, anche Mwangi era sparito, venendo poi abbandonato sul ciglio della strada a nord della Tanzania, vicino al confine con il Kenya, il 22 maggio: “Non puoi essere il capo dello Stato, il presidente, e tuttavia tollerare pubblicamente e spudoratamente la tortura e la violenza sessuale” ha detto Atuhaire.
La Tanzania terrà elezioni presidenziali e legislative nel mese di ottobre e da mesi il clima politico nel Paese è diventato oscuro, caratterizzato da una fortissima repressione contro i partiti non allineaeti: la nazione dell’Africa orientale, che conta circa 65 milioni di abitanti, è governata dallo stesso partito sin dall’indipendenza nel 1961. Lissu, il principale rivale di Hassan alle urne, è stato arrestato e accusato di “incitamento a bloccare le urne”, in quelle che i suoi sostenitori considerano accuse politicizzate, e il giorno dopo l’arresto il suo partito è stato escluso dalle elezioni.