Albert Ojwang, insegnante di 31 anni, è morto per “trauma cranico e compressione del collo”, con numerose ferite su tutto il corpo compatibili con un’aggressione. Lo ha dichiarato ieri alla stampa Bernard Midia, uno dei cinque patologi che hanno eseguito l’autopsia, smentendo apertamente la versione fornita due giorni prima dalla polizia, secondo cui l’uomo sarebbe deceduto dopo aver sbattuto la testa contro il muro della cella in cui era detenuto.
“Se la testa fosse stata sbattuta contro il muro, ci sarebbero segni distintivi, come un’emorragia frontale – ha spiegato Midia –, ma l’emorragia che abbiamo notato sul cuoio capelluto era più estesa, sia sul viso che sui lati e sulla nuca. Se si considera il resto delle ferite in tutto il corpo, è improbabile che si tratti di ferite autoinflitte”. I medici hanno inoltre rilevato segni di colluttazione.
La presidente dell’Associazione keniana dei rappresentanti legali, Faith Odhiambo, ha commentato i risultati in conferenza stampa: “Albert Ojwang è stato torturato e brutalmente ucciso mentre era in custodia. Hanno cercato di farci credere a una storia falsa, sostenendo che si è suicidato battendo la testa. Vogliamo che tutti gli agenti coinvolti siano ritenuti responsabili”.
La polizia, da parte sua, ha comunicato di aver sospeso tutti gli agenti presenti durante la detenzione per agevolare le indagini. Ha ora sette giorni di tempo per presentare le proprie conclusioni.
Nel frattempo, la notizia ha scatenato un’ondata di indignazione sui social media, dove centinaia di cittadini chiedono giustizia e invocano le dimissioni del vice ispettore generale della polizia, Eliud Lagat, il funzionario dietro la denuncia che ha portato all’arresto di Ojwang.