Di Valentina Giulia Milani
Simbolo del “rinascimento etiope”, la Gerd promette sviluppo e indipendenza energetica, mentre alimenta diffidenze e conflitti regionali lungo il fiume più conteso d’Africa.
Un colosso di cemento nel cuore del Nilo Azzurro, celebrato ad Addis Abeba come il simbolo del “rinascimento etiope” e visto da Il Cairo con profonda diffidenza, se non ostilità. La Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd) è stata inaugurata ufficialmente il 9 settembre, anche se il suo immenso bacino era già pieno dall’ottobre 2024 e da mesi produce elettricità. Più che una cerimonia tecnica, un atto simbolico: sancire che l’Etiopia è ormai una potenza energetica, pronta a vendere corrente ai vicini e a riscrivere gli equilibri del fiume più conteso d’Africa.
La costruzione è iniziata nel 2011, proprio mentre l’Egitto era travolto dalla Primavera araba. In quell’anno, con il potere a Il Cairo indebolito dalle proteste e dal crollo del regime di Hosni Mubarak, Addis Abeba ha potuto lanciare senza opposizioni decisive un progetto che oggi è motivo di orgoglio nazionale. Per l’Egitto, invece, resta una ferita aperta: il Paese teme da allora di perdere il controllo sulle acque del Nilo, da cui dipende per il 90% del fabbisogno idrico.
La diga sorge nella regione di Benishangul-Gumuz, a 15 chilometri dal confine con il Sudan e 700 da Addis Abeba. Un’area remota e scarsamente abitata, scelta per ridurre l’impatto sociale. Alcuni attivisti hanno però denunciato conseguenze per comunità locali costrette a spostarsi e per la biodiversità del fiume. Per il governo etiope si tratta invece di un sacrificio limitato, compensato da benefici economici e infrastrutturali. Il cantiere, affidato al gruppo italiano Salini Impregilo (oggi Webuild), ha coinvolto migliaia di lavoratori e richiesto la creazione di una città temporanea, con dormitori, mense, un ospedale e collegamenti logistici fino al porto di Gibuti. Un impegno da circa 5 miliardi di dollari, in gran parte autofinanziato grazie a bond popolari lanciati dal governo.

Dal punto di vista ingegneristico, la Gerd è un gigante: diga in calcestruzzo compattato e rullato alta 145 metri e lunga 1.780, affiancata da una diga di sella di 5 chilometri. Il bacino artificiale, ribattezzato Nigat Lake, copre 1.875 chilometri quadrati e può contenere fino a 74 miliardi di metri cubi d’acqua. A regime, le 16 turbine genereranno 5.150 megawatt, per una produzione annua stimata di 15.700 gigawattora: abbastanza da triplicare la capacità elettrica nazionale.
L’obiettivo di Addis Abeba non è solo garantire elettricità ai propri cittadini. Secondo il ministero dell’Acqua e dell’Energia, la Gerd permetterà di esportare energia verso Sudan, Kenya e Gibuti, ma anche a Tanzania, Sud Sudan, Uganda e Ruanda attraverso nuove linee di interconnessione. In prospettiva, l’Etiopia punta a coprire fino al 20% dei consumi dell’Africa orientale e a diventare hub energetico regionale. Già oggi, dati dell’Ethiopian Electric Power indicano che la diga copre un terzo della produzione nazionale, che nel 2025 è cresciuta del 43% rispetto all’anno precedente.
L’Etiopia non ha petrolio, non ha sbocchi sul mare e da decenni soffre la cronica carenza di valuta pregiata. Le sue esportazioni si basano su poche voci: il caffè, di cui è il primo produttore africano, e la floricoltura, con milioni di fiori recisi spediti ogni giorno verso i mercati europei. Due settori che da soli non bastano a sostenere un Paese di oltre 120 milioni di abitanti e con ambizioni di crescita. L’elettricità prodotta dalla Gerd diventa così la nuova risorsa strategica: energia da consumare internamente per alimentare industrie e servizi, ma soprattutto da vendere ai Paesi vicini, trasformandola in valuta forte da reinvestire nello sviluppo. Per Addis Abeba, è la chiave per ridurre la dipendenza dalle importazioni e avviare un circuito virtuoso di modernizzazione.
La Gerd dovrebbe avere anche un ruolo nella gestione del Nilo Azzurro, riducendo le piene stagionali e garantendo flussi più costanti durante le siccità. Un fattore cruciale in un Paese dove il 70% della popolazione vive di agricoltura e dove l’irrigazione resta vitale. Il valore simbolico non è secondario. La diga è celebrata come il cuore del “rinascimento etiope”: il suo profilo campeggia su poster e magneti venduti ad Addis Abeba, mentre la retorica del governo insiste sulla capacità del Paese di costruire con le proprie forze la più grande infrastruttura idroelettrica africana.
L’inaugurazione di Addis Abeba ha tuttavia scatenato una dura reazione in Egitto. L’ex vice ministro degli Esteri Mohamed Higazy ha definito l’apertura della diga “un atto unilaterale irresponsabile e ostile, un crimine contro l’ambiente e un assalto alla sicurezza regionale”. In una dichiarazione riportata dal quotidiano Al-Ahram, ha accusato l’Etiopia di “ostinazione e unilateralismo” per non aver concordato le regole di riempimento e funzionamento con Egitto e Sudan. Higazy ha avvertito che Addis Abeba “sta violando il diritto internazionale sui fiumi transfrontalieri” e “mette in pericolo la vita e i mezzi di sussistenza di oltre 150 milioni di egiziani e sudanesi che dipendono dal Nilo”. Il Cairo ribadisce che l’acqua resta una “linea rossa” e si riserva il diritto di intraprendere azioni politiche, diplomatiche o legali, inclusa la possibilità di tornare al Consiglio di Sicurezza dell’Onu.

Le preoccupazioni de Il Cairo, del resto, si concentrano da anni sul rischio che il riempimento del bacino riduca drasticamente le portate del Nilo, compromettendo agricoltura, approvvigionamento idrico e produzione elettrica della diga di Assuan. Finora, però, queste paure non si sono pienamente avverate: i riempimenti sono stati effettuati in stagione delle piogge e hanno ridotto al minimo l’impatto immediato sulle acque a valle. L’Egitto non ha registrato gravi crisi idriche, ma continua a temere che in caso di siccità prolungata l’Etiopia possa privilegiare i propri interessi energetici a scapito dei flussi verso nord.
Il Sudan, a sua volta, nutre timori più pragmatici: da un lato vede nella Gerd un’opportunità per importare energia a basso costo e beneficiare di un flusso più regolare del Nilo, che ridurrebbe il rischio di inondazioni devastanti; dall’altro teme che una gestione unilaterale da parte etiope possa danneggiare le sue dighe, come quella di Roseires, situata appena a valle, e mettere a rischio la sicurezza alimentare di milioni di persone che dipendono dall’irrigazione.
Per l’Etiopia, la Gerd è già il simbolo di un futuro diverso: energia nelle case, elettricità da esportare, valuta estera da reinvestire nello sviluppo. Per Egitto e Sudan resta una fonte di incertezza. Un’opera ciclopica che divide l’Africa tra promesse di crescita e timori di crisi.



