di Céline Camoin
Dal colpo di Stato del luglio 2023, il Niger è travolto da una crisi securitaria ed economica senza precedenti. La giunta militare fatica a garantire sicurezza, trasparenza e servizi essenziali, mentre corruzione, terrorismo e povertà dilagano su tutto il territorio.
Dopo il colpo di Stato in Niger del 26 luglio 2023, che ha portato al potere una giunta militare, la minaccia securitaria non si limita più alle aree di confine, ma investe l’intero territorio nazionale. La guerra asimmetrica condotta dai gruppi terroristici colpisce non solo le forze armate, ma anche la popolazione civile, con gravi violazioni dei diritti fondamentali come la vita, la libertà di movimento, l’accesso a un livello di vita dignitoso, all’alimentazione, all’istruzione e alla salute. È quanto afferma un rapporto delle Ong locali Transparency International Niger e Associazione nigerina per la lotta alla corruzione.
“La gestione militare della crisi appare gravemente compromessa. Le Forze di Difesa e Sicurezza soffrono della mancanza di ufficiali esperti, spesso assorbiti da incarichi civili più remunerativi, lasciando i teatri operativi in mano a giovani ufficiali coraggiosi ma poco preparati ed equipaggiati. Le perdite umane sono altissime tra militari, milizie di autodifesa e popolazione civile. Sebbene non ci siano dati ufficiali, si parla di centinaia di caduti solo tra luglio 2024 e luglio 2025”, si legge nel rapporto.
Le regioni del Paese sono interessate in modo diverso dall’escalation di violenza. Tillabéri è tra le più colpite, infestata dagli attacchi del Gruppo di Sostegno all’Islam e ai Musulmani (Jnim) e dello Stato Islamico, con numerosi villaggi devastati e vittime sia tra i civili che tra i rappresentanti delle istituzioni locali. La regione di Dosso subisce sabotaggi al gasdotto cinese e violenze in varie località, mentre Tahoua è teatro di attacchi sia a nord che a sud, condotti da gruppi legati al Nigeria e al Mali. Maradi soffre soprattutto di rapimenti a scopo di riscatto lungo il confine con la Nigeria. Nella regione di Diffa la minaccia principale resta Boko Haram, che compie incursioni e sequestri ai danni di civili e militari.

Un caso particolare è quello di Agadez, dove si registrano due movimenti di ribellione armata successivi al colpo di Stato del 2023. Da una parte il Consiglio di Resistenza per la Repubblica, trasformatosi in Forze Armate Libere di Rhissa Ag Boula, dall’altra una serie di gruppi toubou e arabi che hanno dato vita a formazioni come il Fpl, il Mjrn, il Mapd, il Mplj e il Fpj, quest’ultimo responsabile della cattura del prefetto di Bilma. Alla ribellione si aggiungono fenomeni di grande banditismo, traffici di droga e immigrazione irregolare legata ai flussi verso la Libia e ai respingimenti dall’Algeria.
“La frustrazione all’interno dell’esercito ha generato episodi di insubordinazione e persino ammutinamenti, come a Filingué, dove un comandante è stato aggredito dai suoi uomini e trasferito d’urgenza in ospedale in Turchia. Questo malessere riflette la sensazione di abbandono vissuta da una truppa priva di risorse e di sostegno”.
La corruzione aggrava ulteriormente la crisi. I fondi per armamenti e infrastrutture militari vengono gestiti in deroga alle regole dei mercati pubblici, senza trasparenza né controlli, mentre gli alti ufficiali privilegiano l’accumulazione di ricchezze personali. L’ordinanza 2024-05 del febbraio 2024, che ha allargato le maglie agli appalti di difesa, è citata come uno degli strumenti che ha alimentato il fenomeno. In questo contesto, le popolazioni locali sono costrette a pagare imposte e tasse estorte dai gruppi armati, aggravando ulteriormente la povertà diffusa.
La crisi securitaria ha anche una forte ricaduta sociale. Migliaia di persone sono state sfollate, costrette a rifugiarsi nelle città a causa della violenza nei villaggi. A Makalondi, Wanzarbé, Yatakala e in molti altri centri rurali, i campi agricoli sono ormai abbandonati perché i contadini vengono assassinati nei campi dai terroristi. I servizi pubblici sono paralizzati: oltre 900 scuole risultano chiuse, e lo Stato, invece di aumentare gli investimenti, ha ridotto del 20% le tasse scolastiche nelle strutture private, lasciando intatto il dramma dell’istruzione negata a intere generazioni.
L’insicurezza si è estesa anche alle città più grandi. Il 10 settembre 2025, Tillabéri, capoluogo regionale distante appena 113 chilometri dalla capitale Niamey, è stata attaccata in pieno giorno. L’episodio, che ha provocato gravi perdite umane e materiali, dimostra il livello di deterioramento del sistema di sicurezza nazionale e la fragilità di uno Stato che non riesce a garantire la protezione dei suoi stessi centri nevralgici.
La giunta militare non combatte la corruzione
In materia di corruzione in Niger – rivela il medesimo rapporto – la giunta militare ha consolidato un sistema che favorisce la discrezionalità e l’opacità I militari che hanno preso il potere il Niger anno giustificato l’interruzione dell’esperienza democratica citando due argomenti principali: il malgoverno legato alla corruzione e l’incapacità delle autorità precedenti di garantire la sicurezza. Dal rapporto emerge che la corruzione sistemica ed endemica, presente da anni, non si è fermata con l’arrivo della giunta militare.
L’ordinanza n. 2024-05 del 23 febbraio 2024 ha infatti escluso dai meccanismi di controllo preventivo e successivo una serie di spese pubbliche strategiche: gli acquisti legati alla difesa, i servizi ad essa connessi, la costruzione di residenze ufficiali, i programmi di assistenza per gli sfollati interni. Queste spese, inoltre, beneficiano di esoneri fiscali e non sono soggette alla normativa sugli appalti, in violazione delle direttive dell’Unione Economica e Monetaria dell’Africa Occidentale (Uemoa).
In pratica, miliardi di franchi cfa sono stati assegnati con procedure di affidamento diretto ad aziende vicine ai militari al potere. Ong come Niger Stop Corruption, legata alla coalizione Publish What You Pay, hanno denunciato l’assenza di trasparenza, affermando che “quando si nascondono i nomi dei fornitori, gli importi e i tempi di esecuzione, significa che c’è molto da nascondere”.

Negli ultimi mesi, sono emersi diversi scandali a conferma di una corruzione sistemica, come appalti opachi del ministero dell’Interno: per l’armamento della Guardia nazionale e la costruzione di caserme in varie località (Torodi, Bonkoukou, Kokorou, Yélou). Il rapporto cita anche la raffineria di Dosso, per la quale un un memorandum d’intesa del 24 ottobre 2024 ha affidato un contratto da 600 miliardi di franchi Cfa alla società Zimar presentata come canadese ma in realtà registrata alle Isole Cayman, noto paradiso fiscale. Nel settore aurifero, un accordo con l’imprenditore keniano-ugandese Pamlesh Pattni, già coinvolto in scandali in Kenya e Zimbabwe (affare Goldenberg), è stato firmato per la trasformazione dell’oro nigerino a Niamey.
Questi episodi rafforzano l’impressione che il regime abbia “catturato” lo Stato per orientare le risorse pubbliche a favore di una ristretta élite militare e dei suoi alleati economici, secondo le associazioni autrici del rapporto.
Al di là dei grandi scandali, i cittadini denunciano quotidianamente casi di arricchimento illecito da parte di autorità civili e militari: acquisti di immobili, terreni e veicoli di lusso non compatibili con i redditi ufficiali. La corruzione è segnalata anche a livello decentrato, dove funzionari locali si appropriano di fondi pubblici senza timore di sanzioni. A Niamey, ad esempio, un contratto per la gestione della circolazione stradale e delle auto sequestrate è stato stipulato in violazione della normativa vigente: il 75% delle entrate va a una società privata (N-Trans) e solo il 25% alla municipalità, a riprova della sproporzione degli accordi. Anche le nomine e le indennità distribuite a 194 consiglieri consultivi hanno suscitato indignazione popolare, essendo percepite come strumenti clientelari piuttosto che misure di buon governo.
Per consolidare il controllo e ridurre al minimo le critiche, la giunta ha adottato nuovi strumenti normativi che limitano la libertà di espressione: ordinanza n. 2024-28 del 7 giugno 2024, che modifica la legge del 2019 sulla cybercriminalità, con norme più restrittive nei confronti dell’attivismo online. Ordinanza n. 2024-43 del 27 agosto 2024, che introduce la possibilità di revocare la cittadinanza, colpendo in particolare giornalisti, difensori dei diritti umani, attivisti e whistleblower.
Questi provvedimenti sono stati accompagnati da un discorso politico a forte connotazione sovranista e anti-imperialista, volto a legittimare il potere militare e a delegittimare chiunque sollevi accuse di corruzione o malgoverno.

Un’economia ricca di risorse ma fragile
L’economia del Niger – prosegue il rapporto – vive una contraddizione strutturale che riflette il cosiddetto “paradosso saheliano”: un Paese con un potenziale minerario straordinario, ma incapace di tradurre queste ricchezze in benessere diffuso. Nel contesto politico segnato dal colpo di Stato del 2023 e dalle sanzioni imposte dalla Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (Cedeao/Ecowas), l’economia nazionale si trova oggi sospesa tra fragilità interne, urgenze sociali e tentativi di ridefinizione geoeconomica.
Le sanzioni della Cedeao introdotte dopo il golpe, hanno accentuato le debolezze strutturali, deplora il rapporto. Il blocco economico, in vigore tra agosto 2023 e febbraio 2024, ha generato perdite stimate in 150 milioni di dollari al mese, un’inflazione galoppante del 30% e penurie acute di medicinali e beni alimentari. La sospensione dei finanziamenti internazionali ha congelato progetti vitali, come la costruzione del grande bacino idroelettrico di Kandadji. Per contenere gli effetti del blocco, Niamey ha parzialmente riorientato gli scambi verso Algeria e Togo, attraverso i corridoi Lomé-Niamey e Tamanrasset-Agadez.
Nonostante sia il quinto produttore mondiale di uranio, con il 7% delle riserve globali, il settore contribuisce appena per il 5% al Prodotto Interno Lordo (Pil). Analogamente, le risorse petrolifere, con una produzione complessiva che sfiora i 110.000 barili al giorno, e quelle aurifere, seconda voce di esportazione del Paese, non compensano il peso di un’economia basata per il 40% su agricoltura e allevamento. Quest’ultimo settore impiega l’80% della popolazione, ma è estremamente vulnerabile ai cambiamenti climatici, come testimoniano le quattro grandi siccità registrate dal 2000. Il risultato è drammatico: il 44,1% dei cittadini vive sotto la soglia di povertà, in un contesto aggravato da un tasso di crescita demografica record, pari al 3,8% annuo.
Nel quadro delle riforme annunciate dalla giunta, la cosiddetta “Rifondazione”, sono emerse iniziative contraddittorie. Da un lato, la Carta mineraria impone maggiore trasparenza, obbligando alla pubblicazione dei contratti e prevedendo la creazione di un Fondo Sovrano destinato a sanità ed educazione. Dall’altro lato, deroghe controverse come l’ordinanza del 23 febbraio 2024 (2024-05), che concede esenzioni fiscali alle spese di sicurezza, hanno sollevato timori di nuovi episodi di corruzione e malversazioni. Anche la revisione di partenariati pubblico-privati, come il contratto con la Turchia per la centrale solare di Gorou Banda, può essere interpretata tanto come volontà di riequilibrio quanto come tentativo di cattura dello Stato da parte di élite politiche e militari.

I settori strategici, intanto, sono sottoposti a tensioni crescenti. L’energia resta fortemente dipendente dalle importazioni dalla Nigeria (70% del fabbisogno), mentre i progetti solari sono stati bloccati dalle sanzioni e il tasso di elettrificazione rurale si ferma al 15%. L’insicurezza dilagante nelle regioni di Tillabéri, Tahoua e Dosso limita l’accesso alle terre coltivabili, alimentando una crisi alimentare che interessa 1,2 milioni di persone. Nel settore delle telecomunicazioni, pur con una penetrazione mobile dell’84%, lo Stato ha introdotto un prelievo forzato di 10 franchi Cfa su ogni acquisto di credito telefonico per finanziare il Fondo Nazionale per la Salvaguardia della Patria, la cui gestione è priva di trasparenza.
Sul piano internazionale, il Niger sta operando un vero pivot geoeconomico. La Confederazione degli Stati del Sahel (Aes), che unisce Burkina Faso, Mali e Niger, lavora all’integrazione monetaria con l’obiettivo di abbandonare il Franco CFA, e all’apertura di un nuovo corridoio commerciale Niger-Ciad. Parallelamente, si rafforzano i legami con la Cina, attraverso la compagnia Cnpc per lo sfruttamento petrolifero, e con la Turchia per lo sviluppo infrastrutturale. Tuttavia, questi progetti si scontrano con la fragilità securitaria: il grande oleodotto costruito con capitali cinesi è regolarmente oggetto di sabotaggi e minacce da parte di gruppi armati.
Rimangono inoltre sfide strutturali pesanti. La governance economica è minata dall’opacità delle spese militari, che assorbono il 40% del bilancio 2024, e da una crescita del debito pubblico, ormai pari al 50% del Pil, con un incremento di otto punti dall’anno del golpe. Il Paese dipende per il 70% dalle importazioni alimentari, mentre il congelamento dell’aiuto europeo priva il bilancio di un sostegno essenziale. Nel frattempo, la demografia rappresenta una bomba sociale: metà della popolazione ha meno di 15 anni, una pressione enorme su servizi pubblici già insufficienti.
Il governo ha cercato di contenere la tensione sociale introducendo misure simboliche, come la riduzione del prezzo del carburante. Tuttavia, la politica economica resta schiacciata tra necessità immediate di sopravvivenza e riforme strutturali mai pienamente realizzate.



