Abuja, da villaggio a metropoli

di claudia

di Céline Nadler – foto di Nick Hannes / Panos

La capitale della Nigeria è tra le città a più rapida crescita del mondo, tra atmosfere vibranti e contrasti stridenti. Abuja, da villaggio a metropoli – sorta poco più di trent’anni di fa dal nulla e oggi con oltre 4 milioni di residenti – è un buon osservatorio per capire che cosa succede nell’universo urbano del continente. Ci guidano due architetti italiani che in Africa fanno ricerca e lavoro

Il nome viene da un’enorme discarica nelle vicinanze, ma la gente fa la fila per trasferirsi nella baraccopoli di Big Bola ad Abuja, mentre l’inflazione e la crisi immobiliare hanno fatto salire alle stelle gli affitti nelle zone più salubri della capitale nigeriana – problema di non poco conto, in un Paese in cui la maggior parte delle famiglie spende gran parte dei propri guadagni per l’alloggio.

L’area di Big Bola, che in lingua hausa significa “grande pattumiera”, è caratterizzata da baracche precarie e vicoli sterrati, ma non è l’unica nella capitale. Mpape, la baraccopoli più grande di Abuja, è un labirinto di vicoli polverosi con fogne a cielo aperto, case di fango con tetti di lamiera ondulata e cumuli di rifiuti alla periferia. Anche Lugbe e Lokogoma, nel Territorio della capitale federale (Fct), ostentano costruzioni barcollanti, senza adeguati sistemi di drenaggio né la minima osservanza delle normative urbanistiche.

Eppure sono aree a due passi da alti grattacieli ricoperti di vetro – le cosiddette “World Trade Center towers” – del Central Business District di Abuja, dagli uffici governativi della Nigeria e da estesi viali di negozi e boutique per lo shopping di lusso.

Due città in una

«Nonostante l’apparenza estetica, strutturale e infrastrutturale faccia pensare a due realtà totalmente opposte e totalmente separate, i punti di contatto sono in realtà tantissimi», spiega alla rivista Africa l’architetto Federico Monica, specializzato nell’analisi dei fenomeni urbani nel continente. «Anzi», aggiunge, «quello che si può dire è che molto spesso l’intera città funziona anche grazie alla presenza di quei quartieri informali, dove si concentrano tante persone che svolgono le attività che permettono alla città di funzionare. Questo è particolarmente vero in città come Abuja che sono nuove e grandi capitali e attraggono tante persone che lavorano sia nell’economia formale sia in quella informale. Quindi il legame fra la città reale, ufficiale, e la città informale è sempre molto stretto, tanto che, senza i quartieri informali, le attività della città formale entrerebbero totalmente in crisi».

Rimane tuttavia difficile individuare quello stretto legame camminando tra gli ampi vialetti e i curati giardini di Maitama, uno dei quartieri più esclusivi della città. O ancora ad Asokoro, dove si trova la villa presidenziale, o a Gwarinpa o Jabi, che offrono uno stile di vita urbano moderno, con attici di lusso ed esclusivi servizi residenziali. Anche Wuse II, nel distretto metropolitano dell’Abuja Municipal Area Council (Amac), vicino ad Apo a sud, a Gudu a ovest e a Garki a nord-ovest, offre un elevato standard di vita.

Questi quartieri costosi non sono solo luoghi in cui vivere: servono anche da status symbol. Ogni angolo di strada ostenta opulenza e ricchezza: ristoranti raffinati, alberghi a cinque stelle, lussuosi palazzi che ospitano missioni diplomatiche o uffici governativi, scuole private internazionali, campi da golf, case dal taglio architettonico vistoso. Lì i prati ordinatamente tagliati danno un senso di pace e tranquillità suburbana, con i Suv parcheggiati al sicuro sui vialetti. Un senso di sicurezza rafforzato dai recinti, alte mura, filo spinato e guardie armate che presidiano posti di blocco per entrare e uscire da quei santuari.

Quando Lagos “scoppiò”

È tutto un altro mondo quello che pulsa proprio dall’altra parte della palizzata, dove l’acqua pulita scarseggia, dove le abitazioni non possono sempre ambire all’elettricità, dove le scuole non possono accogliere tutti, dove la maggior parte delle persone sopravvive grazie all’economia informale. Le piogge persistenti degli ultimi mesi hanno danneggiato i servizi igienici degli slum e si sono segnalate decine di casi di colera, mentre gli abitanti devono affrontare ripetute inondazioni, uno fra i tanti risultati delle violazioni delle norme urbanistiche.

«In molte città dell’Africa, non necessariamente megalopoli, questo fenomeno dei divari sta diventando una norma; ma non possiamo parlare, a mio avviso, di due entità: si tratta, di fatto, di una sola e gigantesca entità ma con caratteri e sembianze diverse», racconta Roberto Forte, fondatore dello studio di architettura internazionale Forte Architetti, che nel continente ha due sedi: a Città del Capo (Sudafrica) e a Lagos (Nigeria). «Le due entità sono composte da un’unica grande popolazione totalmente eterogenea che ha imparato a convivere con condizioni economiche, sociali, culturali, diverse tra loro. Esse vivono rapporti di stretta dipendenza: in molte città sudafricane, per esempio, la popolazione delle township, costruite spesso in adiacenza ai quartieri residenziali, lavora al servizio delle famiglie ricche dei vicini quartieri residenziali stessi», prosegue Forte.

Abuja non è sempre stata la capitale del Paese più popoloso dell’Africa. Il titolo era detenuto da Lagos finché, negli anni Settanta e Ottanta, un boom demografico mai visto prima fece degenerare le condizioni di vita della più grande città della Nigeria. Il governo, armato di petrodollari, decise di intervenire e spostare la capitale al centro del Paese. A causa della variegata composizione etnica, culturale, linguistica e religiosa della Nigeria, il governo ritenne l’area, allora sonnolenta, un luogo neutrale per tutte le comunità e ideale per rafforzare l’unità e l’identità nazionali. Il 21 dicembre 1991 proclamò ufficialmente Abuja capitale politica del Paese.

Una capitale, tanti capitali

La nuova capitale, con una popolazione di oltre quattro milioni di persone, è diventata una delle città a più rapida crescita del mondo, che oggi ospita livelli di disuguaglianza molto elevati. «Certamente questo melting pot di culture e di fasce sociali che si incontrano ad Abuja deriva dagli incredibili tassi di urbanizzazione che interessano l’Africa, ma è anche effetto del grande interesse che il continente suscita a livello globale. Le megalopoli sono sì affollate da chi si sposta dalle aree rurali, ma sono anche fortemente frequentate da un immenso nugolo di businessmen, faccendieri, diplomatici», fa notare Forte, sottolineando che questa città è anche una destinazione privilegiata di investimenti locali ed esteri. Nel quarto trimestre del 2024, il Nigerian Bureau of Statistics ha reso noto che Abuja ha registrato un afflusso di capitali pari a 370,80 milioni di dollari: il 34,07% dell’afflusso totale di capitali della Nigeria.

Tuttavia, secondo un rapporto delle Nazioni Unite del 2022, il 40% dei nigeriani vive con meno di un dollaro al giorno e, con gli alti costi degli alloggi nella capitale, i lavoratori a basso reddito hanno trovato riparo in bidonville nel cuore di Abuja, dove sopravvivono grazie alla vicinanza con la maggior parte degli uffici in città. Ce lo conferma Monica: «In molti quartieri informali ci sono persone anche relativamente benestanti o che hanno impieghi anche ufficiali».

Fucine di creatività

Inoltre l’inflazione al consumo è aumentata per nove mesi consecutivi, attestandosi a poco più del 21% in ottobre, esercitando così un’ulteriore pressione al rialzo sui costi degli alloggi in un Paese in cui circa l’80% della popolazione spende più della metà del proprio reddito nell’affitto. «La forbice drammaticamente divaricata è il vero tema su cui riflettere e che genera tensioni. La tensione sociale è generata dalle dure condizioni di vita “offerta” dalle megalopoli africane. Basti pensare a Lagos, dove convivono 15 milioni di abitanti. Là le condizioni di vita sono difficili anche per i più abbienti: il traffico fuori controllo, inquinamento alle stelle, corruzione galoppante sono solo alcune delle micce pronte a far esplodere la bomba sociale», prosegue Forte prima di precisare: «La bomba è però pronta ad esplodere anche sul piano artistico e culturale. Molte di queste città sono fucine di creatività, dove convivono persone con background ed esperienze molto diverse, che vi trovano floridi terreni di confronto e scambio. L’intero continente è in fase di ebollizione ed è assolutamente eccitante esserci dentro giusto adesso. I movimenti sono rapidissimi, sia in alto che in basso, ed è bello notare le differenze dal nostro sonnacchioso Vecchio Continente».

L’urbanizzazione è il fenomeno che trasformerà di più il continente africano nel corso del XXI secolo. Dal 1990 al 2020, il numero delle città in Africa è più che raddoppiato, passando da 3.300 a 7.600, mentre la loro popolazione complessiva è aumentata di 500 milioni di persone: più di un africano su due vive oggi in città. Con una popolazione particolarmente giovane, le città africane sono quelle in più rapida crescita al mondo. Se l’urbanizzazione e la sua pianificazione figurano tra le principali sfide dei politici africani, è proprio perché non vadano di pari passo delle crescenti sperequazioni. «Una delle questioni principali delle megalopoli africane oggi risiede sicuramente nel tema delle diseguaglianze, siano esse divari economici o differenze di accesso ai servizi fra coloro che risiedono nei quartieri benestanti e chi sta nei quartieri informali», riconosce Monica, che è anche responsabile dello studio TaxiBrousse (specializzato in progetti architettonici, infrastrutturali e ambientali per la cooperazione internazionale), «ma non dimentichiamo una caratteristica fondamentale delle città africane: la flessibilità nell’uso degli spazi, pubblici o non, che cambiano molto rapidamente e molte volte nell’arco della giornata. Le strade, per esempio, vengono utilizzate in vari modi: come spazi di mercato ma anche come spazi in cui svolgere altre attività, il che crea città molto diverse dalle nostre, rigide e normate, in cui ogni attività deve avere un suo spazio preciso. Invece, città molto flessibili, che sappiano cambiare molto rapidamente, possono insegnarci probabilmente molte cose, soprattutto in un’epoca di cambiamenti climatici che richiede capacità di adattarci a degli imprevisti».

Dello stesso parere è Forte: «Le comunità dei quartieri ricchi e quelle dei quartieri informali sono solo due delle molteplici entità che animano e popolano una città africana, e che sono nate da adattamenti generati dalla necessità e dalle diverse condizioni e possibilità». «L’adattabilità degli africani», conclude l’architetto, che considera la mutabilità delle realtà urbane del continente come la loro salvezza alle future sfide, «è di gran lunga superiore a quella degli europei!».

Questo articolo è uscito sul numero 2/2025 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.

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