di Fabrizio Floris
Il “sì” al referendum costituzionale in Guinea supera l’89%. La giunta celebra la vittoria come preludio a nuove elezioni, ma la popolazione resta scettica: per molti è solo un modo per consolidare il controllo del colonnello Doumbouya, al potere dal golpe del 2021, e rimandare ancora il ritorno a un governo civile.
Domenica 21 settembre 6 milioni di cittadini della Guinea Conakry hanno votato per un referendum volto ad approvare una nuova carta costituzionale fortemente voluta dalla giunta militare al potere. L’esito prevedibile è stata una schiacciante vittoria dei sì (89,4%). Il referendum viene considerato dagli osservatori internazionali come un passo verso le elezioni e un ritorno al governo civile dopo 4 anni dal golpe. All’alba del 5 settembre 2021, la Guinea si era svegliata sotto il suono delle armi. Un manipolo di militari delle Forze Speciali, guidati dal colonnello Mamady Doumbouya, aveva preso d’assalto il palazzo presidenziale nel centro della capitale. In poche ore, il presidente Alpha Condé, al potere da oltre un decennio, venne posto in stato di arresto, il governo sciolto, la costituzione sospesa, le frontiere chiuse. Per gli osservatori sul campo, non si è trattato di un evento inatteso, ma dell’esito prevedibile della tensione crescente che da anni attraversava il Paese.
Alpha Condé era salito al potere nel 2010 tra gli applausi della comunità internazionale, primo presidente democraticamente eletto dopo decenni di regimi militari e colpi di stato. Ma nel tempo, quell’entusiasmo si era trasformato in disillusione. Accusato di autoritarismo crescente, Condé si era fatto riconfermare nel 2020 per un terzo mandato, modificando la Costituzione tramite un controverso referendum che divise il Paese. Per l’opposizione era una frode, ne seguirono proteste di piazza a cui il governo rispondeva con la repressione. Intanto, la popolazione soffriva: inflazione in aumento, servizi pubblici in crisi, tasse crescenti su beni di prima necessità. Una situazione insostenibile che ha avuto il suo epilogo militare con il colonnello Doumbouya in occhiali scuri e tuta mimetica e il presidente Condé circondato da militari, seduto e visibilmente stanco. L’immagine fa il giro del mondo.

Poche ore dopo, il colonnello Doumbouya, in uniforme e berretto rosso, parla alla nazione: annuncia la nascita del Comitato Nazionale per la Riconciliazione e lo Sviluppo (CNRD). Giustifica l’azione come necessaria per salvare il Paese da «una deriva politico-istituzionale» e promette una transizione verso un «nuovo ordine democratico». L’obiettivo è ricostruire lo Stato, sradicare la corruzione, restituire il potere ai civili. Ma nei mesi successivi, va esattamente nella direzione opposta: l’apparato statale viene completamente militarizzato.
Tutti i ministri del governo precedente vengono destituiti. Molti posti agli arresti domiciliari. I governatori regionali e i prefetti civili vengono rimpiazzati da commissari militari. Poi sistematicamente si passa ai sindaci e tutti i funzionari pubblici fino a marzo 2024 quando vengono sciolti i 342 consigli municipali e sostituiti con oltre 3.000 commissari nominati direttamente dalla giunta. La partecipazione politica è bloccata. Il governo si proclama “di transizione”, ma si è ben stabilizzato con le radici nel potere.
Il ritorno all’ordine costituzionale era stato promesso per il 2024. Ma le elezioni non sono mai state indette. La giunta ha spiegato il ritardo con la necessità di riforme strutturali. Doumbouya eroe della rottura è diventato il volto di un nuovo autoritarismo. Se nell’immediato la popolazione aveva accolto con favore la caduta di Condé, con il passare dei mesi, sono cresciute le denunce di abusi di potere, arresti arbitrari, censura della stampa e repressione del dissenso. La reazione internazionale di ECOWAS, Unione Africana, Nazioni Unite e diversi governi occidentali era stata di immediata condanna.

Tuttavia, la diplomazia internazionale ha tenuto costantemente aperto un dialogo con la giunta per ricondurre il Paese nell’alveo della democrazia. L’Unione Europea ha messo in atto diverse iniziative come PARD-Guinea: “Progetto di Appoggio alla Transizione Democratica” il cui obiettivo è stato quello rafforzare la democrazia inclusiva durante la fase di transizione con formazione tecnica e capacity building per i funzionari delle istituzioni, dialogo politico strutturato tra società civile, partiti e istituzioni, supporto logistico per la gestione dei processi elettorali nonché il rafforzamento delle capacità dei giornalisti locali. Uno sforzo costantemente in bilico tra repressione (arresti di giornalisti, chiusura di media e partiti politici) e aperture del governo.
Il testo costituzionale è percepito da molti osservatori come un tentativo della giunta di legittimare la propria permanenza al potere e condizionare le elezioni future. Ed è in effetti quello che si sente dire dalla gente per le strade di Conakry che non è andata a votare perché tanto «Mamady Doumbouya non se ne andrà» racconta il sig. Barry.
Doumbouya va tranquillo verso la vittoria e si prepara alle prossime elezioni presidenziali ben sapendo che il cambiamento, se dovesse verificarsi, potrà avvenire solo dall’interno delle stesse forze armate (in Guinea, dall’indipendenza a oggi, l’alternanza al potere è stata possibile solo per morte naturale del presidente o per violenza).
La Guinea e le Forces vives de Guinée restano in sospeso tra l’illusione della democrazia e la realtà di un potere militare con ampie radici.



