21/01/2014 – Sud Sudan -Prigionieri di una lotta di potere (Intervista)

di AFRICA

 

“A uccidere sono i militari o i ribelli, non i vicini di casa” dice alla MISNA Gill Lusk, firma storica della rivista Africa Confidential. Parla del “suo” Sud Sudan, un paese che conosce a fondo, ostaggio di un conflitto armato scoppiato solo due anni e mezzo dopo la festa per l’indipendenza da Khartoum.

La tesi di Lusk è che in Sud Sudan sia in atto un conflitto politico, che “non è o comunque non è stato all’inizio” scontro tra etnie. Secondo l’esperta, un ruolo decisivo hanno giocato il crescente autoritarismo del presidente Salva Kiir e le ambizioni del suo ex vice Riek Machar. In mezzo ci sono dieci milioni di persone appartenenti alle oltre 60 etnie di un paese ricco di petrolio ma povero di pace, che ha già conosciuto la guerra civile e deve rialzarsi.

Come definirebbe il conflitto in Sud Sudan?

“Una lotta per il potere. Negli ultimi mesi, in particolare da maggio, il presidente Salva Kiir si è mostrato sempre più autoritario. In particolare a luglio, quando ha sciolto il governo: personalità con una storia importante nel Movimento popolare di liberazione del Sudan (Splm), il partito che ha lottato per l’indipendenza e l’ha ottenuta, sono state sostituite da ‘falchi’ vicini al presidente”.

Machar si è ribellato?

“Quello che è accaduto il 15 dicembre non è ancora del tutto chiaro. È possibile che a innescare gli scontri nella principale caserma dell’esercito a Juba sia stato un ordine di disarmare i reparti della Guardia presidenziale composti da Nuer. Un ordine provocatorio, perché i Nuer costituiscono una componente fondamentale e forse addirittura maggioritaria delle Forze armate. E che per altro, forse, non fu neppure dato per davvero. Il conflitto in Sud Sudan, a ogni modo, ha radici politiche. Non è uno scontro etnico, o comunque non lo è stato all’inizio. Lo conferma il fatto che molti Nuer sostengano tuttora il governo di Kiir, presidente autoritario ma comunque legittimo anche agli occhi della comunità internazionale”.

Chi sta con i ribelli?

“Per lo più milizie integrate nelle Forze armate solo di recente, che in passato si erano ribellate legandosi al governo del Sudan”.

Il conflitto terminerà quando una delle due parti sarà sconfitta o ci sono margini per un accordo negoziato?

“È impossibile dirlo adesso. In un primo momento Kiir è apparso in difficoltà, preoccupato e quasi spaurito. Penso alla conferenza stampa della notte tra il 15 e il 16 dicembre, quando si è presentato alle telecamere con indosso l’uniforme militare. Poi però ha acquistato forza, riprendendo almeno in parte il controllo della situazione. A suo favore gioca la storia personale di Machar. Nel 1991 l’ex vice-presidente rischiò di spaccare l’Splm e si rese responsabile dell’uccisione di oltre 2000 civili, per lo più Dinka, dopo aver preso la città di Bor. Un massacro del quale si è scusato più volte, ma che nessuno ha dimenticato. Proprio come i suoi mutevoli rapporti con Khartoum. Che Machar diventi presidente del Sud Sudan è davvero difficile”. (continua) – Misna

 

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