di Andrea Spinelli Barrile
Washington intensifica la diplomazia nel Sahel, cercando un nuovo equilibrio nei rapporti di sicurezza con Mali, Niger e Burkina Faso, in rotta con la Francia e sempre più vicini alla Russia.
Da diversi mesi ormai, gli Stati Uniti stanno intensificando le visite ad alto livello nei Paesi del Sahel che hanno lasciato la Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas, ovvero Mali, Niger e Burkina Faso). Visite e incontri volti a rilanciare la cooperazione in materia di sicurezza con i Paesi del Sahel, sullo sfondo del continuo deterioramento delle relazioni tra questi ultimi e la Francia, accusata di tentativi di destabilizzazione e di ingerenza.
Dall’8 al 10 luglio, il vicedirettore generale per l’Antiterrorismo della Casa bianca, Rudolph Atallah, ha effettuato una visita ufficiale a Bamako: nella capitale maliana ha incontrato il ministro degli Esteri Abdoulaye Diop e il ministro della Sicurezza per discutere di una “cooperazione rinnovata e costruttiva”. Secondo una nota del ministero degli Esteri maliano, i colloqui si sono concentrati sulla ripresa del controllo di sicurezza da parte delle autorità maliane, sul rafforzamento delle capacità delle forze armate nazionali, sull’integrazione della Confederazione degli stati del Sahel (Aes) nella lotta al terrorismo e sulla denuncia da parte di Bamako del sostegno esterno (in particolare ucraino) ai gruppi armati.
Lo scorso 27 maggio, a Ouagadougou in Burkina Faso, il sottosegretario di stato per l’Africa occidentale americano, Will Stevens, ha consegnato un “messaggio del presidente Donald Trump” al ministro degli Esteri burkinabé, Karamoko Jean Marie Traoré, e durante la riunione che ne è seguita i due funzionari hanno discusso di una cooperazione “solida” che “rispetta la sovranità” del Paese africano, riconoscendo anche le critiche del Burkina Faso alle restrizioni occidentali all’acquisizione di equipaggiamento militare. Stevens si è impegnato a lavorare per rimuovere questi ostacoli.
Il 30 maggio a Nairobi, il comandante generale dell’Africom Michael Langley ha attenuato le sue critiche alla gestione delle risorse in Burkina Faso e ha riconosciuto il problema dell’aumento degli attacchi terroristici nel Sahel dopo il ritiro degli Stati uniti dal Niger, nel 2024: in quell’occasione, Langley ha ribadito il sostegno degli Stati uniti ai partner saheliani e nigerini attraverso intelligence, addestramento e supporto materiale. In Niger, il primo ministro Ali Mahamane Lamine Zeine ha incontrato, a fine aprile a Washington, l’ambasciatore Troy Fitrell per discutere della ripresa delle relazioni Usa-Niger, dopo che Niamey, al momento dell’insediamento della giunta militare, ha denunciato gli accordi di difesa con Washington, che avevano portato al graduale ritiro delle truppe americane dalla base di Agadez.

Queste azioni diplomatiche americane, piuttosto intense se comparate alla precedente amministrazione Biden, giungono in un momento in cui le relazioni tra la Francia e i regimi del Sahel continuano a deteriorarsi: le autorità di Mali, Burkina Faso e Niger accusano la Francia di operare continui tentativi di destabilizzazione e giustificano il loro ritiro dalla Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale con quello che descrivono come uno “sfruttamento dell’organizzazione” regionale proprio da parte della Francia. Allo stesso tempo, questi Paesi hanno rafforzato i loro legami con la Russia, in particolare nell’ambito della sicurezza, con istruttori russi che sono stati inviati nei tre paesi per fornire “ addestramento” e supportare le loro forze nella lotta al terrorismo.
A marzo, Washington aveva già parzialmente riaperto i suoi servizi consolari a Niamey e ribadito il suo impegno a rafforzare i legami con il Paese. Tuttavia, secondo il Washington post, Niger e Burkina Faso sono ancora tra i 25 Paesi ai cui cittadini potrebbe essere negato il visto statunitense a causa di controversie sull’immigrazione. In questo clima generale, in cui i regimi saheliani rivendicano la propria autonomia e diversificano le proprie alleanze, la strategia americana oscilla tra il desiderio di un rinnovato impegno in materia di sicurezza, il rispetto ostentato della sovranità e la pressione diplomatica mirata.–