Gli angeli custodi dei rapaci

di claudia

di Tony Karumba / Afp

La popolazione di rapaci in Africa è calata del 90% in pochi decenni per avvelenamenti, deforestazione e linee elettriche pericolose. In Kenya, veterinari e animalisti portano avanti un tenace lavoro di salvataggio di aquile, gufi e avvoltoi minacciati dall’estinzione.

Simon Thomsett solleva con delicatezza la fasciatura rosa dall’ala di un’aquila bateleur, un magnifico rapace dalla coda corta che solca i cieli della savana. L’uccello, piumaggio scuro e becco rosso acceso, rimane immobile mentre il veterinario gli solleva con delicatezza le piume per ispezionare la ferita. «La guarigione è ancora lontana», mormora Thomsett, con lo sguardo attento di chi dedica la vita alla cura dei rapaci. L’aquila, un giovane esemplare di circa 18 mesi, è stata trovata ferita nel Masai Mara cinque mesi fa. «Non sappiamo con certezza cosa sia successo, potrebbe essere rimasta vittima di una collisione con una linea elettrica o di un avvelenamento indiretto», racconta Thomsett, 62 anni, direttore del Soysambu Raptor Centre, uno dei pochi rifugi sicuri per rapaci in Kenya. Nel centro, situato nella riserva di Soysambu, l’aquila convive con una trentina di altri rapaci feriti, ognuno con una storia che racconta la dura battaglia per la sopravvivenza in un continente dove le minacce per questi uccelli si moltiplicano.

Declino allarmante

Negli ultimi quarant’anni, la popolazione di rapaci in Africa è crollata del 90%. Il dato, che suona come un campanello d’allarme, è stato evidenziato da uno studio pubblicato lo scorso gennaio dal Peregrine Fund, una delle organizzazioni statunitensi più attive nella conservazione dei rapaci. «Oggi puoi percorrere duecento chilometri di strada senza vederne uno solo», afferma Thomsett. «Vent’anni fa, ne avresti contati a centinaia». La realtà che queste parole descrivono è quella di un ambiente che sta cambiando rapidamente, con i rapaci che scompaiono da paesaggi che un tempo erano pieni di vita. Le cause del drammatico declino sono molteplici, ma una delle principali è l’avvelenamento. In molte zone rurali, gli allevatori, per proteggere il bestiame dai predatori, ricorrono all’avvelenamento delle carcasse di animali morti. Questa pratica, spesso mirata a eliminare leoni, iene e altri carnivori, colpisce però anche gli avvoltoi e altri rapaci che si nutrono dei resti. «L’avvelenamento è una strage silenziosa», spiega Thomsett. «Intere colonie di avvoltoi possono essere sterminate in poche ore».

Un’altra minaccia crescente è rappresentata dalle linee elettriche. I cavi ad alta tensione sono responsabili della morte di migliaia di rapaci ogni anno, che vengono folgorati quando si posano sui tralicci o se li colpiscono in volo. «Ogni settimana riceviamo almeno un rapace folgorato», racconta il veterinario. «E quelli che sopravvivono arrivano con ali bruciate e danni irreversibili».

Battaglia culturale

La battaglia per la sopravvivenza dei rapaci africani non è solo, però, una questione ecologica, ma anche culturale. In molte comunità africane, specie come gufi e avvoltoi sono spesso viste con sospetto, associate a superstizioni che ne fanno il bersaglio di uccisioni intenzionali. «Gli avvoltoi sono visti come creature sporche e ripugnanti», afferma Shiv Kapila, responsabile di un santuario di rapaci nel Naivasha National Park. Eppure, come spiega, senza di loro gli ecosistemi rischiano di collassare. I rapaci sono infatti cruciali per l’equilibrio naturale, in quanto svolgono un ruolo fondamentale nel controllo delle popolazioni di piccoli animali e nella pulizia dell’ambiente, evitando la diffusione di malattie. Per contrastare i pregiudizi, il Naivasha Raptor Centre ha avviato programmi educativi, tra cui visite scolastiche e attività di sensibilizzazione nelle comunità locali. «Abbiamo notato un cambiamento nelle percezioni», racconta Juliet Waiyaki, giovane veterinaria che lavora al centro dal 2023. Nonostante l’impegno, a volte è difficile non interrogarsi sui risultati del proprio lavoro. «Salvare otto avvoltoi su 300.000… fa davvero la differenza?», si chiede. Ma, come dice lei stessa, «facciamo la nostra parte».

Futuro incerto

Nonostante il drammatico declino delle popolazioni di rapaci, Thomsett intravvede segnali di speranza. Il Soysambu Raptor Centre ha visto il ritorno in natura di numerosi esemplari curati, tra cui alcuni che sono stati rilasciati anni prima. «Ci sono uccelli che sembravano spacciati, e invece oggi sono vivi e in salute», racconta. Alcuni di loro ritornano addirittura al centro dopo anni, come volessero salutare chi li ha salvati. «È una sensazione indescrivibile», conclude Thomsett con un sorriso. Il lavoro dei centri di riabilitazione e conservazione come il Soysambu e il Naivasha Raptor Centre rappresenta una lotta continua per il futuro di questi uccelli straordinari. Mentre le minacce ambientali e culturali sono gravi e urgenti, la dedizione dei professionisti e delle comunità locali porta con sé una speranza concreta: quella di preservare e, forse, ripristinare popolazioni di rapaci che sono essenziali per l’equilibrio ecologico.

Questo articolo è uscito sul numero 4/2025 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui.

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