di Céline Camoin
A cinquant’anni dall’indipendenza, le ex colonie portoghesi in Africa — Angola, Mozambico, Guinea-Bissau, Capo Verde e São Tomé e Príncipe — affrontano sfide cruciali legate a una giovane popolazione in crescita e a governi incapaci di soddisfare i bisogni fondamentali.
È reale il rischio di un’esplosione sociale in alcune ex colonie portoghesi in Africa, secondo il ricercatore Gerhard Seibert, del Centro studi internazionali dell’Iscte, l’università di Lisbona.
“Basta considerare i problemi che i Paesi avevano già con la precedente piramide demografica, e quando ora si vede, ad esempio, che metà della popolazione ha meno di 24 o meno di 22 anni, questo crea alcuni timori per il futuro, perché tutte queste persone vogliono mangiare, vogliono vivere, vogliono istruzione, vogliono lavoro. È una polveriera”, afferma Gerhard Seibert in un’intervista all’agenzia Lusa.
Il ricercatore deplora che i governi alla guida di questi Paesi siano attualmente incapaci di “soddisfare i bisogni essenziali ed elementari di gran parte della popolazione”. “Come faranno tra cinque anni, tra dieci anni, se questa popolazione, che ora ha circa 15 anni, ne avrà 20 o 25, e avrà diverse capacità di avanzare richieste? Come reagiranno a tutto questo? Quindi, penso che questa sia una grande sfida per qualsiasi Paese con questa situazione demografica”, ribadisce.
Per Gerhard Seibert, nonostante le difficoltà e la minaccia che potrebbe concretizzarsi, il bilancio di 50 anni di indipendenza è positivo, sebbene noti differenze in ciascuna delle cinque ex colonie africane: Angola, Mozambico, Guinea-Bissau, Capo Verde e São Tomé e Príncipe.
Valutando l’impatto delle risorse naturali, che nel caso di Angola e Mozambico spaziano dal petrolio e dai diamanti al gas naturale, Seibert sostiene che dovrebbero essere una benedizione. La dicotomia benedizione/maledizione delle risorse naturali deriva dalla disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza che generano.

“Il problema sono anche le risorse umane, che devono avere la capacità e la volontà di gestire, investire o reinvestire meglio queste entrate. (I nuovi leader) non sono riusciti a investire sufficientemente queste risorse nella sanità, nell’istruzione o nella creazione di una società più equa, in termini di opportunità, ricchezza e benessere. Invece, una piccola élite si è arricchita, il che non ha alcun effetto positivo sul Paese”, lamenta.
Così, dopo 50 anni, ciò che è stato raggiunto “è una certa indipendenza politica. I Paesi hanno i loro seggi alle Nazioni Unite, si presentano nell’arena diplomatica come sovrani, ma ciò che la maggior parte di loro non ha finora ottenuto è una base economica. Non sono economicamente indipendenti”, afferma. “Non so se si possa parlare di colonialismo o neocolonialismo, ma è ovvio che qualsiasi dipendenza economica o finanziaria, ad esempio dalla Banca Mondiale o dal Fmi, mina l’indipendenza”.

Sulla questione dei diritti umani, il ricercatore sostiene che nei primi 15 anni di indipendenza la situazione “era più complicata”, a causa della presenza di regimi monopartitici e autoritari. “Ma in tutti i Paesi oggi c’è un pluralismo che all’epoca non era consentito”, osserva, citando il caso del Mozambico e le proteste seguite al risultato delle elezioni dell’ottobre 2024: “Una situazione terribile, con persino dei morti durante le manifestazioni. All’inizio dell’indipendenza, al tempo di Samora Machel, credo che questo tipo di proteste sarebbe stato impossibile”.
“Ciò che manca a questi Paesi è l’alternanza del potere attraverso il voto, attraverso elezioni democratiche. E questo non avviene, perché credo che dipenda anche dalla debolezza e dalle divisioni all’interno dell’opposizione”, afferma, sottolineando che i partiti al potere “hanno anche il monopolio della violenza, della polizia, delle forze armate per rimanere al potere”, conclude Gerhard Seibert.