di Valentina Geraci – Centro studi AMIStaDeS
Negli ultimi mesi il Gambia si è mosso tra piazze e piattaforme digitali, chiedendo trasparenza, giustizia e dignità ai leader politici locali. È stata un’estate di cortei che hanno intrecciato rabbia e speranza: manifestazioni dove si leggono le fratture della società ma anche il desiderio di cambiamento. In vista delle presidenziali in programma a dicembre 2026, il governo di Adama Barrow si trova adesso stretto tra promesse fatte e accuse di repressione.
A fine agosto il Gambia è stato scosso da una serie di proteste che hanno coinvolto centinaia di giovani nelle strade di Banjul e in altre città. La scintilla è stata l’imposizione da parte della Public Utilities Regulatory Authority (PURA) di un prezzo minimo di 50 dalasi per gigabyte di dati mobili, una misura che secondo attivisti e alcune realtà locali corrisponde a un aumento dei costi di accesso a Internet del 243%, rendendo difficile per la popolazione locale rimanere connessa.
“Non possiamo più permetterci di studiare online, di lavorare, di parlare”, racconta un ragazzo durante una manifestazione. Da fuori, chi vive nella diaspora, sente il peso di queste parole in modo personale: senza internet accessibile, diventa più difficile sentirsi con i familiari e condividere notizie. “In qualche modo, ti senti tagliato fuori dalla vita dei tuoi cari”.
La decisione ha annullato le promozioni a basso costo che per mesi avevano facilitato l’accesso a Internet. Di fronte alle manifestazioni, secondo Article 19 e testate locali, sono stati segnalati arresti e uso eccessivo della forza.
A metà agosto, la protesta ha assunto una nuova dimensione. Davanti alla sede della Commissione Elettorale Indipendente (IEC), i giovani dell’opposizione, in particolare quelli dell’United Democratic Party (UDP), hanno marciato contro la nuova gestione dei documenti d’identità e l’aumento delle spese di candidatura come riportato dal comunicato dei giovani UDP.. “Queste decisioni rendono la politica una proprietà privata” hanno accusato i manifestanti. Ancora una volta, la polizia ha risposto con arresti di massa. Nei giorni successivi, il tribunale di Kanifing ha rilasciato su cauzione tra ventidue e ventitré giovani secondo fonti locali; altri restano ancora detenuti. Ousainu Darboe, storico leader dell’UDP, ha puntato il dito contro la polizia: “L’uso eccessivo della forza è inaccettabile”.
Ma le piazze si erano già accese settimane prima. Già a luglio, migliaia di persone avevano sfilato per denunciare la corruzione, in quella che alcuni hanno definito una delle più grandi manifestazioni civiche degli ultimi anni. Riportando AP News, a maggio almeno ventisette persone, tra cui due giornalisti poi rilasciati, erano state arrestate per aver protestato contro la vendita dei beni confiscati all’ex dittatore Yahya Jammeh. “Quelle proprietà sono del popolo” richiamava la popolazione. Le auto, i terreni, le ville del vecchio regime sono diventati simbolo di un passato che ritorna, un nodo irrisolto che l’attuale governo Barrow non ha ancora sciolto.

Da quelle giornate alza la voce il movimento Gambians Against Looted Assets (GALA). Giovani che hanno deciso di organizzarsi per chiedere trasparenza. “Vogliono sapere come sono state vendute le auto, i terreni, le case. Dove sono finiti i soldi?” racconta un giovane gambiano dall’Italia, citando la loro richiesta di una petizione consegnata all’Assemblea Nazionale e al Consiglio dello Sport. GALA non si ferma alla questione Jammeh: il movimento ha puntato l’attenzione su altri scandali di corruzione, dalla gestione dei fondi dell’Autorità portuale alla tragedia sanitaria che ha segnato il Paese nel 2022, quando oltre sessanta bambini sono morti per aver assunto sciroppi tossici importati. “Queste vite non saranno dimenticate”, ha dichiarato il movimento, chiedendo giustizia al ministero della Sanità.
Le assemblee di GALA raccolgono studenti, attivisti, lavoratori. “Non siamo un partito politico, siamo cittadini che chiedono verità e responsabilità” hanno ribadito in un comunicato. Negli ultimi giorni hanno anche partecipato a cortei contro il carovita, congiungendo le proprie voci a quelle di altri collettivi. Gli arresti non hanno fermato la mobilitazione. “Restiamo impegnati a un dialogo costruttivo ove possibile, ma non smetteremo di usare i mezzi legali e democratici a nostra disposizione, comprese le proteste pacifiche” ha scritto il gruppo.
Non è solo la rabbia giovanile a riempire le strade. Intanto altri temi corrono in parallelo. A fine aprile e inizio maggio, il presidente del Gambia Teachers Union (GTU) ha minacciato lo sciopero generale per ottenere arretrati e indennità. La pratica delle mutilazioni genitali femminili resiste, nascosta ma presente, e divide il Paese tra leader religiosi che difendono l’interdizione e altri che chiedono di cancellarla. Nei villaggi costieri i pescatori denunciano le flotte straniere che svuotano il mare, la diaspora denuncia la corruzione del Paese mentre nelle periferie la gente si raduna per parlare del caro vita. Le strade parlano, e quello che raccontano è il termometro di un Paese giovane che non vuole più lasciare il futuro nelle mani di pochi, preparandosi forse alle Presidenziali previste a dicembre 2026.



