Togo, la lettura delle tensioni in una voce dell’opposizione

di claudia
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di Céline Camoin

Le proteste scoppiate alla fine di giugno a Lomé contro Faure Gnassingbé, al potere in Togo dal 2005 non sono state l’opera di partiti politici o della società civile tradizionale, bensì da blogger appartenenti alla diaspora. Quali sono le motivazioni che stanno determinando una crescita di tensione nel Paese?

Bisogna aspettarsi altre manifestazioni antigovernative in Togo. La repressione delle proteste di fine giugno, segnate da vittime e arresti, non fermerà il movimento che chiede la partenza di Faure Gbassingbé e la fine delle derive del clan al potere. Ne è convinto Jean Amevi Akiti, responsabile della comunicazione del partito politico Les Démocrates (i Democratici), intervistato da InfoAfrica per capire meglio le ragioni che stanno determinando una palese crescita di tensione nel Paese dell’Africa occidentale. “Il popolo non intende piegare la schiena, e già questa settimana sono previste manifestazioni il 16 e il 17 luglio”, ha detto l’esponente del partito d’opposizione.

Le manifestazioni del 26, 27 e 28 giugno scorso non sono state l’opera di partiti politici o della società civile tradizionale, ma quella dei blogger della diaspora. Il movimento è iniziato il 6 giugno con le prime proteste scatenate dall’arresto del blogger Amron, un attivista critico del potere, che vive in Togo, e che è figlio di un colonnello dell’esercito. Il movimento è stato battezzato M66 (movimento 6/06) ed è ora nel mirino delle forze di sicurezza che hanno ricevuto l’ordine di arrestare i suoi leader.

“Il governo accusa la diaspora di essere l’istigatrice delle manifestazioni. La manifestazione non è più l’opera degli oppositori – molti dei quali sono diventati servi del potere – ma quella dei tiktoker e della diaspora. È un fenomeno nuovo, che è riuscito a trascinare i giovani. Fa paura a chi tiene le redini del potere. Ora – sostiene Jean Amevi Akiti – la paura sta nella parte della dittatura militaro-clanica che da decenni dirige questo Paese. Quarant’anni nelle mani del padre, 20 anni nelle mani del figlio, il popolo è davvero abusato. Ora ha voglia di esplodere”.

Blogger e manifestanti hanno colto una palla al balzo: quella lanciata da una persona molto vicina al presidente del Consiglio – e già presidente della Repubblica tra il 2005 e lo scorso maggio – Faure Gbassingbé, ovvero l’ex ministra della Difesa, stretto membro del clan familiare. Il 2 maggio, alla vigilia del voto parlamentare sull’elezione di Faure Gbnassingbé a presidente del Consiglio dei ministri, in base alla nuova Costituzione, Gnakadé ha pubblicato un corsivo colmo di critiche: “vent’anni di speranze infrante sotto Faure Gnassingbé”, mancanza di cambiamenti negli investimenti per migliorare le condizioni di vita, esplosione del debito pubblico senza alcuna compensazione visibile in termini di infrastrutture produttive, riforme sociali ritenute insignificanti e un progetto di rete ferroviaria regionale rimasto lettera morta. Gnakadé denuncia il cambio di Costituzione e un nuovo regime parlamentare ha un solo obiettivo: eludere l’alternanza al potere sotto una facciata democratica. “Questi deputati, senatori o governatori preselezionati non hanno altra missione che convalidare i desideri di chi è al potere. Coloro che oggi si congratulano per aver ricoperto una carica sotto questo regime sono in realtà i più incatenati”, ha scritto Marguerite Essozimna Gnakadé, i cui tentativi di fondare un proprio partito politico sono stati vani.

Faure Gnassingbé
Faure Gnassingbé

“La qualità della vita in Togo è disastrosa”, riprende il nostro interlocutore, Jean Amevi Akiti. Il popolo vive male, nonostante le ricchezze del Paese: clinker, fosfati, bauxite, petrolio. Il Togo ha molte ricchezze naturali e il togolese non dovrebbe soffrire, eppure lo stipendio minimo è di solo 52.000 franchi Cfa, circa 80 euro, e non è detto che tutti lo prendano. Gli studenti non hanno borse di studio, non c’è una cultura dell’eccellenza. Solo una minoranza di persone si accaparra i beni del Paese. È la minoranza del clan al potere”. Secondo l’oppositore, “il Paese è in mano a una politica dispotica, caotica, seduta sul totalitarismo. Soffochiamo. Le libertà sono strappate via. Il diritto di stampa e d’espressione non è rispettato. La gente ha fame, i prezzi sono aumentati, c’è chi non riesce nemmeno a mangiare una volta al giorno”.

I partiti politici di opposizione sono molto meno efficaci di una volta, denuncia ancora Akiti. I tentativi di unificazione sono stati smembrati dal potere attraverso strategie divisorie, corruzione, persone pagate per cambiare schieramento. Il caso più lampante risale al 2017, anno della coalizione C14. “Era partita bene ma alcuni esponenti hanno voluto andare alle elezioni accompagnando il potere nelle sue derive. Non tutti erano determinati. Molti sono andati via”, spiega l’attivista, che è anche uno scrittore e giornalista. Il partito al quale appartiene, I Democratici, “non è mai andato a elezioni in cui non ha mai creduto”.

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