Vip a Città del Capo

di claudia

di Marco Trovato – direttore editoriale della rivista Africa

Lettini per massaggi a bordo piscina, menù gourmet firmati da chef, bottiglie pregiate nel frigobar, stanze climatizzate con filodiffusione musicale, luci soffuse e aromaterapia: negli hotel di lusso per cani a Città del Capo, in Sudafrica, c’è tutto quel che serve per far sentire gli amici a quattro zampe delle autentiche celebrità. Qui il concetto stesso di “Vip” è stato riformulato, con una punta d’orgoglio, in “Very Important Pet”… I loro padroni – per lo più sudafricani benestanti bianchi – non lesinano spese pur di garantire a Fido ogni tipo di comfort e trattamento su misura: sessioni di idroterapia e fisioterapia, allenamenti con personal trainer, corsi di yoga, proiezioni al dog cinema e persino rituali spa con trattamenti rilassanti e oli essenziali. A sorprendere, non è tanto l’esistenza di resort canini a cinque stelle, quanto che stiano proliferando in un Paese dove gran parte della popolazione – in prevalenza nera – continua a vivere in condizioni di estrema precarietà, spesso in baracche fatiscenti o in casupole di lamiera nelle sterminate township, le periferie-ghetto ereditate dall’apartheid.

Il contrasto è abissale e, per molti, indecente: mentre ci sono cani che dormono in suite con vista panoramica, milioni di connazionali umani faticano a garantire un pasto quotidiano alla propria famiglia. In questa dicotomia estrema, si riflettono le profonde fratture che tuttora attraversano il Sudafrica contemporaneo – faglie che non possono essere attribuite unicamente al passato, ma anche all’incapacità e alla corruzione dei governi succedutisi negli ultimi trent’anni. La vita dorata dei fortunati animali domestici racconta anche un’altra verità, più scomoda: tra la popolazione più benestante del Paese – che gode di privilegi spesso rimasti intatti dopo la fine del regime segregazionista – il benessere dei propri quadrupedi, amati e coccolati, sembra talvolta contare più di quello dei concittadini meno fortunati. È un atteggiamento che si traduce in una crescente indifferenza verso la povertà, ben visibile dai quartieri residenziali blindati, dove si moltiplicano ville sorvegliate da ronde armate, sistemi di sicurezza elettronici e cani addestrati a mordere, mentre appena di là dai muri perimetrali si stendono interi sobborghi senza acqua corrente né elettricità. «È come se per certi bianchi ricchi la povertà nera non esistesse: un rumore di fondo da ignorare, un fastidio da tenere fuori dal campo visivo», mi ha confidato una giovane cameriera di un hotel dell’elegante quartiere del V&A Waterfront. «Spendono cifre folli per viziare i loro cani, ma fanno finta di non vedere i poveri che dormono per strada appena fuori casa».

È la stessa amarezza che ho ritrovato nelle parole di una guida in una riserva naturale dello Mpumalanga, che ha sfogato la sua rabbia contro un atteggiamento ricorrente riscontrato tra i ranger afrikaner. «Non è solo amore per gli animali», dice, «è una vera ossessione. Ho sentito colleghi dire che un rinoceronte merita più protezione di un bambino di Soweto. Trattano gli animali come creature nobili, mentre disprezzano la nostra gente. È razzismo mascherato da ambientalismo». Prendersi cura degli animali, domestici o selvatici, è senza dubbio un segno di civiltà. Ma quando tanta attenzione si trasforma in culto, quando il benessere di un cane o di un leone conta più di quello di un essere umano, quando la dedizione per gli animali offusca la sensibilità per il proprio simile, qualcosa si è incrinato. La compassione selettiva – che ignora la sofferenza umana – rivela una distorsione inquietante dei valori che non riguarda solo l’élite privilegiata di Città del Capo. Riguarda tutti noi. Anche altrove – sui social come nella vita reale – l’amore incondizionato per gli animali convive troppo spesso con un’indifferenza sconcertante per chi soffre: un senzatetto al freddo, un rifugiato ignorato, un vicino in crisi. L’empatia, che dovrebbe unire, inaridisce. Lo aveva già scritto Sartre: «Quando amiamo troppo le bestie, le amiamo a spese degli uomini».

Editoriale del numero 5/2025 della rivista Africa.
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