di Andrea Spinelli Barrile
La Maasai International Solidarity Alliance ha lanciato un appello alla casa automobilistica tedesca per ritirarsi da un’iniziativa che, secondo l’organizzazione, viola i diritti delle comunità locali.
La Maasai international solidarity alliance (Misa) ha lanciato un appello a Volkswagen affinché si ritiri da un controverso programma di crediti di carbonio, che secondo loro violerebbe i diritti dei Maasai e minaccerebbe di distruggere i loro mezzi di sussistenza.
La Misa sostiene che diverse comunità Maasai in Tanzania hanno perso il controllo e l’utilizzo delle terre destinate ai pascoli e ha accusato Volkswagen di aver fatto “affermazioni false e fuorvianti” sulla partecipazione dei Maasai al processo decisionale relativo al progetto: si tratta di un grande progetto di generazione di crediti di carbonio, promosso da Volkswagen ClimatePartner (Vwcp) e da Soils for the Future Tanzania (una società statunitense che si occupa di compensazione delle emissioni di carbonio), che secondo la Misa starebbe prendendo il controllo di gran parte delle terre rimanenti, minacciando i mezzi di sussistenza dei Maasai e sconvolgendo le loro consolidate pratiche di pascolo.
Volkswagen ClimatePartner è una joint venture tra la casa automobilistica e ClimatePartner, una controversa azienda tedesca che fornisce servizi di “compensazione” delle emissioni di carbonio alle aziende inquinanti: secondo la Misa alla base del successo di questo progetto c’è lo sgretolamento delle pratiche di pascolo tradizionali e consolidate dei Maasai, che verrebbero costretti a passare al “pascolo a rotazione rapida”, che riduce la flessibilità e causa difficoltà, in particolare durante le stagioni secche.

Secondo la Misa il progetto sarebbe partito senza il consenso libero e informato da parte delle comunità Maasai, che temono possa limitare il loro accesso ai pascoli e alle cosiddette aree-rifugio: “La Maasailand non ha mai avuto un prezzo. Nella Maasailand non esiste la privatizzazione. La nostra terra è terra comunitaria” ha detto un anonimo citato da un comunicato stampa di Survival international. Il progetto “permetterà all’azienda di continuare a inquinare ripulendo al contemporaneo la sua immagine. Il progetto toglie ai Masai il controllo delle loro terre e si basa sul falso presupposto coloniale che i Masai le stiano ‘distruggendo’: un presupposto non supportato da prove. I Masai pascolano il bestiame nelle pianure dell’Africa orientale da tempo immemorabile. Conoscono la terra e sanno gestirla meglio di chi sviluppa progetti sul carbonio cercando di ricavarne milioni” ha detto in un comunicato stampa di Survival Fiona Watson, direttrice del Dipartimento di ricerca e advocacy di Survival.
Il progetto porta il nome di “Longido and Monduli rangelands carbon project” e l’azienda automobilistica tedesca ha investito diversi milioni di dollari, secondo la Misa contribuendo alla corruzione e alle tensioni che imperversano nella Tanzania settentrionale. Ma non è l’unico progetto critico: nel Kenya meridionale, un progetto adiacente, anch’esso gestito da Soils for the future, è segnato da problemi simili e ha già sollevato problemi con le comunità locali.
Ma, nuovamente, la questione critica qui sembra riguardare i crediti di carbonio in quanto tali: Survival ha documentato problemi simili anche con il controverso Northern Kenya grasslands carbon project, che ha subito di recente un duro colpo da un tribunale keniota, venendo sospeso e sottoposto per la seconda volta a revisione da Verra, l’agenzia che verifica i crediti di carbonio. Una decisione che non ha precedenti.
Foto apertura: Bruno Zanzottera