L’Africa nel mirino della tratta con un terzo delle vittime globali

di claudia
tratta esseri umani

di Valentina Giulia Milani

Il continente africano è oggi una delle principali aree di origine, transito e destinazione delle vittime di tratta nel mondo. Una realtà drammatica che colpisce in modo sproporzionato i soggetti più fragili: bambini, ragazze e donne.

Il traffico di esseri umani resta una delle forme di criminalità più gravi e pervasive in Africa, con una drammatica impennata dei casi registrati negli ultimi anni. Secondo l’ultimo Global Report on Trafficking in Persons 2024 pubblicato a dicembre dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc), il continente africano è oggi una delle principali aree di origine, transito e destinazione delle vittime di tratta nel mondo. La sezione del documento dedicata all’Africa evidenzia come la vulnerabilità strutturale, l’instabilità politica e l’impatto crescente dei cambiamenti climatici stiano esacerbando un fenomeno che colpisce in modo sproporzionato i soggetti più fragili: bambini, ragazze e donne.

Nel periodo analizzato (2020–2022), i cittadini africani hanno rappresentato il 34% delle vittime coinvolte nei flussi transnazionali rilevati a livello globale, la quota più alta per qualsiasi regione del mondo. Il traffico verso l’esterno riguarda prevalentemente adulti sfruttati per lavoro forzato e sfruttamento sessuale, diretti verso Europa e Medio Oriente. Ma la quota più consistente delle vittime africane viene trafficata all’interno dello stesso continente, spesso lungo rotte regionali poco visibili e meno monitorate.

Dati che trovano concretezza nei fatti di cronaca. Uno dei più recenti arriva dalla Francia: il 21 luglio, il tribunale di Châlons-en-Champagne ha condannato tre persone per tratta di esseri umani e sfruttamento lavorativo ai danni di una cinquantina di vendemmiatori, principalmente migranti subsahariani, originari di Mali, Mauritania, Costa d’Avorio e Senegal. La maggior parte di loro, senza documenti, veniva impiegata in condizioni degradanti nei vigneti della Champagne durante la stagione 2023. Secondo quanto emerso nel processo, i lavoratori venivano ospitati in un edificio fatiscente privo di servizi essenziali, costretti a giornate massacranti di lavoro nei campi, senza cibo né acqua. Uno dei testimoni, Modibo Sidibe, ha raccontato all’Afp: “Ci mettevano in un edificio abbandonato, niente da mangiare, niente acqua. Poi ci portavano a lavorare dalle 5 del mattino fino alle 6 di sera”.

La tratta intra-africana si sviluppa infatti in due forme principali, viene spiegato nel rapporto dell’Unodc. Da un lato, il reclutamento di minori, in particolare bambini maschi, per lavori forzati in agricoltura, miniere e mercati urbani; dall’altro, il traffico di ragazze, spesso adolescenti, per fini di sfruttamento sessuale e matrimoni forzati. Il rapporto segnala che in Africa subsahariana oltre il 60% delle vittime identificate è costituito da minori, con un picco drammatico di vittime femminili giovanissime.

La pressione esercitata da guerre, disastri ambientali e carestie contribuisce a esporre milioni di persone al rischio di sfruttamento. L’Unodc sottolinea in particolare l’effetto destabilizzante dei cambiamenti climatici, che spingono famiglie intere a migrare, generando nuove sacche di vulnerabilità. Il rischio di finire vittima di tratta aumenta sensibilmente in contesti di sfollamento forzato, povertà estrema e disgregazione dei legami comunitari. In diversi Paesi africani, soprattutto lungo le rotte migratorie che attraversano il Sahel, i trafficanti si inseriscono nei circuiti di migrazione irregolare approfittando dell’assenza di alternative legali e sicure.

Dal punto di vista della risposta istituzionale, il rapporto Unodc evidenzia che, sebbene in molti Paesi africani siano stati fatti passi avanti sul piano normativo, il sistema giudiziario rimane debole. Nel periodo 2019–2022, l’Africa subsahariana ha fatto registrare un incremento delle condanne per tratta, ma le cifre assolute restano basse: da meno di 20 condanne nel 2019 a circa 35 nel 2022 in tutta la regione. La maggior parte delle condanne riguarda casi di tratta interna condotti da piccoli gruppi o individui isolati, mentre le reti criminali organizzate, spesso responsabili dei flussi transnazionali più ampi, restano largamente impunite.

Il rapporto mostra inoltre che il 74% dei trafficanti condannati a livello globale opera all’interno di gruppi criminali organizzati, spesso con struttura aziendale o gerarchica. Questi gruppi tendono a sfruttare un numero di vittime significativamente più alto rispetto agli autori individuali. In Africa, tuttavia, la capacità investigativa di risalire ai vertici di queste reti resta limitata.

Tra i Paesi citati con maggiore frequenza nel documento figurano la Nigeria, principale punto di origine delle vittime africane trafficate all’estero, la Libia, nodo strategico di transito ma anche epicentro di gravi abusi nei centri di detenzione, e l’Etiopia, da cui partono flussi significativi verso la Penisola Arabica. Nella regione del Sahel, Paesi come Mali, Burkina Faso e Niger sono interessati dalla tratta di bambini per il lavoro forzato, in particolare nelle miniere d’oro artigianali.

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A fare luce sul caso Libia è la recente inchiesta del collettivo di ricerca Rrx, che ha rivelato l’esistenza di un vero e proprio sistema organizzato di tratta di migranti neri tra la Tunisia e la Libia, descritto come una “catena logistica criminale” nel rapporto indipendente “Trafic d’État”. Secondo il documento, tra giugno 2023 e novembre 2024, centinaia di migranti subsahariani – principalmente uomini giovani, donne e minori – sono stati arrestati arbitrariamente dalle forze di sicurezza tunisine, detenuti senza processo in centri non ufficiali e poi trasferiti con la forza alla frontiera libica. Qui venivano consegnati a milizie armate, che li imprigionavano in condizioni disumane, spesso in celle sotterranee o campi informali, sottoponendoli a torture, fame, violenze sessuali ed estorsioni.

Il rapporto stima che i migranti fossero “venduti” alle milizie a un prezzo che variava dai 12 euro per un uomo fino a 90 euro per una donna, con un aggravante razziale evidente: le vittime erano in gran parte nere, provenienti da Paesi dell’Africa occidentale e centrale. Una volta detenuti in Libia, erano costretti a contattare le famiglie per il pagamento di riscatti che potevano arrivare a centinaia o migliaia di euro. Alcuni testimoni riportano detenzioni durate mesi, episodi di morte per fame o per pestaggi e minori separati dai genitori.
Il collettivo di ricerca denuncia inoltre la complicità sistemica di apparati statali tunisini, in particolare forze dell’ordine, militari e responsabili locali, che avrebbero agito in coordinamento con le milizie libiche e con l’implicita tolleranza delle autorità centrali. Il documento collega queste pratiche anche al sostegno finanziario ricevuto dalla Tunisia nell’ambito degli accordi di cooperazione migratoria con l’Unione Europea, sollevando interrogativi sulla responsabilità indiretta delle politiche europee di esternalizzazione delle frontiere.

Non a caso l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) ha avvertito ieri, in occasione della Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani, celebrata ogni 30 luglio, che “traffico e sfruttamento alimentano reti criminali, mentre le vittime pagano il prezzo con prigione e stigma”. L’Oim chiede quindi una risposta centrata sulla persona, con sistemi solidi di identificazione delle vittime, giustizia riparativa, programmi di reinserimento e piena applicazione del principio di non punibilità. La campagna 2025 dell’Oim, intitolata “Forced to Commit, Criminalized for Surviving. Let’s End the Exploitation”, denuncia come in molte parti del mondo – inclusa l’Africa – persone trafficate, spesso minori e migranti, vengano costrette a commettere reati come truffe online, spaccio di droga o furti, per poi essere criminalizzate invece che protette.

Anche l’Unodc, nel messaggio istituzionale diffuso per la Giornata mondiale, ha sottolineato il ruolo sempre più determinante della criminalità organizzata nella tratta. Con il tema “Human Trafficking is Organized Crime – End the Exploitation”, l’agenzia delle Nazioni Unite ha ribadito che la tratta non è un crimine isolato, ma parte di reti complesse e strutturate. Particolare attenzione è stata posta alla necessità di rafforzare i sistemi giudiziari e le capacità investigative per smantellare le organizzazioni responsabili, garantendo protezione alle vittime e giustizia effettiva. La direttrice esecutiva Ghada Waly ha invitato a “non colpevolizzare le vittime, ma a garantire la loro sicurezza e dignità, soprattutto nei contesti migratori e di conflitto”.

L’Unodc invita pertanto gli Stati africani e i partner internazionali a rafforzare i meccanismi di referral transnazionale, migliorare la raccolta dati, sostenere il lavoro delle Ong nella protezione delle vittime e avviare una cooperazione più solida con le autorità dei Paesi di destinazione. Particolare attenzione va posta, infine, ai settori economici vulnerabili – come l’estrazione mineraria, l’agricoltura intensiva e il lavoro domestico – che possono trasformarsi in aree ad alto rischio di sfruttamento.

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