Il Benin nella morsa di gruppi armati e contrasti regionali

di claudia

di Gianfranco Belgrano

L’ultimo episodio risale a qualche giorno fa. Una stazione di polizia attaccata da uomini armati ai margini del Parco nazionale di Pendjari, nel nord del Paese. Ma, appunto, è solo l’ultimo di una serie di attacchi armati che sembrano essere diventati una norma per il Benin. Dal suo affaccio sul Golfo di Guinea, il Benin si incunea verso nord, stretto dalla Nigeria a est e dal Togo a ovest, fino a condividere le sue frontiere con Burkina Faso e Niger. Proprio questa sua posizione geografica, a ridosso di aree ormai in cronica instabilità, sembra essere il tallone d’achille utilizzato da gruppi armati per estendere la propria influenza. 

“Tra i Paesi della costa di questa regione, il Benin è quello che sta soffrendo di più e che sembra avere meno strumenti a disposizione per far fronte a possibili espansioni del raggio di azione e di presenza dei gruppi jihadisti attivi nel Sahel” dice alla Rivista Africa Luca Raineri, ricercatore in studi di sicurezza alla Sant’Anna di Pisa. “L’impatto dei gruppi jihadisti su Ghana, Costa’Avorio, Togo e Benin – aggiunge Raineri – assume connotazioni molto diverse da paese a paese, in Benin si registrano ormai attacchi tutti i mesi e in questo caso il Benin paga la sua posizione geografica, che ne fa per i gruppi jihadisti un passaggio chiave e di connessione con Burkina Faso, Niger e Nigeria”. 

Prima dell’attacco alla stazione di polizia di Tanougou, nel Parco nazionale di Pendjari, altri attacchi avevano interessato la stessa zona. Tra i più gravi, quello che ad aprile è costato la vita ad almeno 54 militari colti di sorpresa presso le cascate di Koudou e al cosiddetto Punto triplo, lì dove si incontrano le frontiere di Benin, Niger e Burkina Faso. A rivendicare quell’attacco – riferendo un numero superiore di vittime rispetto a quello poi diffuso dalle fonti governative – era stato il Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Jnim, gruppo jihadista affiliato ad al-Qaida) che aveva anche diffuso immagini di attrezzature militari portate via. “Il timore è che questi gruppi – dice ancora Raineri – almeno in Benin abbiano o siano in grado di arrivare facilmente a forme di presidio del territorio”. 

Il contesto di sicurezza, le crisi umanitarie e gli shock climatici – riferisce la Banca africana di sviluppo nel suo ultimo Outlook – hanno avuto un impatto negativo sulle condizioni sociali in Benin. La povertà è aumentata dal 41,4% nel 2018 al 43,2% nel 2021 e la precarietà dell’occupazione giovanile rimane una sfida importante.

Come a dire, che le dinamiche di sicurezza non sono scollegate dal quadro sociale ed economico vissuto dal Paese come anche da un contesto regionale che è radicalmente cambiato negli ultimi anni, con i vari golpe che si sono susseguiti più a nord e l’incapacità di organizzazioni regionali come Ecowas di mediare le crisi. 

Apertissimo resta il contrasto con il Niger, con il presidente nigerino Abdourahamane Tiani che ha confermato a giugno la chiusura della frontiera accusando il Benin di ospitare basi di jihadisti che prenderebbero di mira obiettivi nigerini. Accuse che Cotonou ha rimandato al mittente. “Si tratta di accuse gravi e infondate” ha detto il ministro degli Esteri Olushegun Adjadi Bakari. “Il Benin – ha aggiunto – combatte il terrorismo sul suo territorio e nei Paesi limitrofi con determinazione e a costo di pesanti sacrifici. Tentare di associare il nostro Paese a tali pratiche non è solo inaccettabile, ma anche profondamente ingiusto nei confronti delle nostre forze di difesa e sicurezza e di tutto il nostro popolo”.

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