Da una lettera all’impegno: Adama Gueye e la diaspora senegalese

di claudia

,di Valentina Geraci

Adama Gueye, attivista e ricercatore, racconta in “Senegalesi in Italia. Storia e dinamiche di un flusso migratorio” la lunga evoluzione della diaspora senegalese dagli anni ’80 a oggi, tra pionieri, stabilizzazione e nuove generazioni. Attraverso testimonianze e analisi, il libro esplora sfide, identità e partecipazione dei senegalesi in Italia, con un focus finale sulla Toscana. Un invito a riflettere su memoria, cambiamento e futuro condiviso tra due Paesi, Italia e Senegal.

«Caro Cheikh, sono certo che sarai sorpreso di leggere la mia prima lettera, trentadue anni dopo la tua scomparsa. Stai tranquillo, amico mio […] Ho cercato instancabilmente quel fattore catalizzatore capace di risvegliare i miei ricordi, di liberare le mie emozioni, di riattivare quella sensibilità che vibrava in me quando insieme guardavamo la natura verdeggiante e le nuvole splendenti del cielo durante la stagione delle piogge». Inizia così, con una dedica intima e potente che riporta alla sua infanzia, il nuovo libro di Adama Gueye, “Senegalesi in Italia. Storia e dinamiche di un flusso migratorio”. Attivista, ricercatore e parte di più realtà associative in Toscana, Gueye da anni lavora sul tema della partecipazione delle persone migranti e del legame tra diaspora e co-sviluppo.

Nel suo libro, ricostruisce la storia della mobilità senegalese dagli anni ’80 a oggi: le ragioni che hanno mosso la partenza, le rotte e le città di origine. Poi, l’approdo in Italia: una mappa che attraversa regioni e province, per raccontare dove si concentra la presenza senegalese e come nascono le associazioni, come si costruiscono relazioni con le istituzioni locali, quali sono le sfide e le opportunità delle prime e delle nuove generazioni. Un capitolo finale è dedicato alla Toscana, seconda regione in Italia per numero di cittadini senegalesi, e terra che l’autore conosce da vicino.

Ho scelto di incontrarlo e intervistarlo per approfondire le motivazioni alla base del suo lavoro, la genesi del libro e il senso di questa riflessione sul passato, il presente e il futuro della diaspora senegalese in Italia.

Com’è nato questo libro? È stato un’urgenza, una riflessione, una testimonianza?

La pubblicazione di questo libro non era urgente, ma era importante farlo, sia per noi stessi che per le generazioni future. Un adagio dice che “il miglior profeta del futuro è il passato”, e lo scrittore guineano Djibril Tamsir Niane, autore del libro “Soundiata Keita ou l’épopée mandingue” (Soundiata Keita o l’epopea mandinga), continua dicendo che “il mondo è vecchio, ma il futuro nasce dal passato”: il tutto per dire che una comunità senza memoria è come un corpo senza anima.


È con questa convinzione che ho deciso di scrivere questo libro, il cui scopo principale è quello di far luce sul passato della nostra presenza sul suolo italiano, per poter comprendere meglio il presente e guardare al futuro con maggiore serenità.


Questo libro contiene preziose testimonianze dei nostri predecessori e nostre riflessioni personali, basate su un’analisi approfondita dei cambiamenti della nostra comunità in relazione all’evoluzione di una società con cui, nel tempo, abbiamo intrecciato percorsi e appartenenze. E continuiamo a farlo.

Ha scelto una voce narrativa personale e allo stesso tempo collettiva e storica.

Questo libro è innanzitutto l’espressione delle mie soddisfazioni, dei miei rimpianti e delle mie preoccupazioni accumulate nel corso degli ultimi vent’anni di contatto quasi permanente con i miei connazionali e di intermediazione con le istituzioni italiane.

Raccoglie le preziose testimonianze dei primi senegalesi arrivati in Italia e accende i riflettori sulle sfide ancora aperte per una piena partecipazione della comunità senegalese alla costruzione di una società realmente inclusiva e unita nella diversità.


La storia è stata più volte invocata perché, come diceva Cicerone: “Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae,magistra vitae,nuntia vetustatis” (“La storia è la testimonianza del passato, la luce della verità, la vita della memoria, la maestra della vita”).

Chi sono i “senegalesi in Italia” che racconta?

Nel libro racconto tre principali profili di migranti senegalesi che hanno vissuto o vivono tuttora in Italia. I primi sono i “pionieri”: uomini che, spinti da difficoltà economiche, hanno lasciato il Senegal con l’obiettivo di lavorare, risanare le proprie finanze e tornare a casa nel corso degli anni Ottanta principalmente. Poi ci sono coloro che hanno scelto di stabilirsi in Italia per costruire un futuro: famiglie che vedono nel Paese un luogo dove educare i figli e realizzare i propri progetti di vita. Infine, c’è la nuova generazione, nata o cresciuta qui, che si muove con una doppia appartenenza culturale, tra radici e identità in divenire.

Cosa significa, nella stesura di questo libro, creare un archivio di esperienze senegalesi in Italia?

Creare un archivio delle esperienze senegalesi in Italia significa, prima di tutto, rendere omaggio ai pionieri che citavo poc’anzi: uomini e donne che hanno affrontato le difficoltà dell’emigrazione, spesso in condizione di irregolarità, e che hanno saputo unirsi per dar vita alle prime strutture associative. Sono loro ad aver costruito i primi ponti con le istituzioni, a difendere i diritti fondamentali e a gettare le basi di una comunità organizzata.

E questo patrimonio non va solo custodito: va compreso, interpretato e messo a frutto. Le generazioni attuali hanno la possibilità di capitalizzare quell’esperienza, adattarla ai contesti di oggi e affrontare con consapevolezza le nuove sfide, sia in Italia che in Senegal.

In questo processo, le nuove generazioni giocano per me un ruolo cruciale. Hanno davanti a loro una domanda fondamentale: che cosa significa essere al tempo stesso italiani e senegalesi? Trovare una risposta non è solo un passaggio identitario, ma una chiave per costruire nuove forme di cittadinanza attiva e relazioni tra i due Paesi. È da qui che può nascere e rafforzarsi un ponte autentico, vivo, fatto di memoria, dialogo e progettualità condivisa. Il libro, in questo senso, offre non solo un’ opera di ricostruzione storica attraverso testimonianze, ma anche uno spazio di riflessione politica e culturale. Mette in luce percorsi di partecipazione, storie di impegno transnazionale e pratiche che parlano del presente e interrogano il futuro.

Ha suddiviso la descrizione dei flussi migratori senegalesi in Italia in tre fasi.

Può descriverle brevemente?

La suddivisione che propongo nel libro ha un valore indicativo, ma si basa su una serie di elementi oggettivi: il contesto socio-economico in Senegal e in Italia, le modalità di ingresso sul territorio italiano, il profilo dominante dei migranti in ciascun periodo, i modelli di mobilitazione collettiva, i rapporti con le istituzioni italiane e con il Paese d’origine, e naturalmente i cambiamenti sociali che hanno accompagnato questi processi.

La prima fase che descrivo si muove tra gli anni Ottanta e Novanta. Questo è il tempo dei “pionieri”. In Senegal la crisi economica spinge molti giovani a partire, mentre in Francia (storica meta per i senegalesi) l’inasprimento delle politiche d’ingresso rende l’Italia una destinazione alternativa. Il Paese, allora in fase di crescita industriale, ha bisogno di manodopera poco qualificata, e i senegalesi trovano spazio soprattutto nel settore del commercio ambulante e nelle piccole imprese. Le prime sanatorie offrono opportunità di regolarizzazione e aprono la strada all’insediamento stabile.

Dal 2000 al 2010 è la fase della stabilizzazione. Cresce in modo significativo il numero dei senegalesi residenti regolarmente. Si intensificano i ricongiungimenti familiari, aumentano le donne e i minori presenti sul territorio. La comunità si consolida.

Dal 2010 a oggi è invece una fase più complessa, segnata da crisi globali e da un clima sociale e politico più teso. Dopo l’11 settembre, il discorso pubblico si fa più sospettoso verso le comunità musulmane. In Italia, la crisi economica del 2008-2009 esaspera le tensioni e, in alcuni casi, l’odio razziale. La comunità senegalese è stata tragicamente colpita da episodi come gli omicidi di Samb Modou e Diop Mor a Firenze nel 2011 e di Diène Idy nel 2018, sempre a Firenze.

Nonostante tutto, i senegalesi hanno continuato a investire nel proprio futuro in Italia, e tra Italia e Senegal con una sempre maggiore partecipazione alla vita socio-politica ed economica. Questa evoluzione ci racconta una diaspora che ha saputo trasformarsi nel tempo, investendo nella costruzione di percorsi stabili, senza mai perdere il legame con le proprie radici e con il Paese d’origine.

Una comunità in cammino, che oggi è chiamata a giocare un ruolo sempre più attivo in queste relazioni transnazionali.

Quali sono stati i principali cambiamenti nelle dinamiche di mobilità senegalesi verso l’Italia nel corso degli anni che ha scelto di raccontare?

Nel corso degli anni, i flussi migratori senegalesi verso l’Italia hanno subito importanti cambiamenti in termini di composizione, distribuzione spaziale e aree di attività.


Negli anni Ottanta, la comunità senegalese era in gran parte priva di un regolare permesso, di sesso maschile e concentrata soprattutto nelle zone costiere e nei principali centri turistici, dove il commercio ambulante era la loro principale fonte di reddito. Il loro status legale spiegava la loro grande mobilità.

Dopo l’importante regolarizzazione avvenuta nel 1990 con la Legge Martelli, hanno iniziato a stabilirsi nelle aree industriali del Nord e del Centro Nord. Hanno gradualmente abbandonato l’attività itinerante e sono entrati nel settore industriale per garantire il possesso di un permesso di soggiorno e per stabilizzare il loro reddito.

A partire dagli anni Duemila, il progressivo arrivo delle donne attraverso i ricongiungimenti familiari ha modificato notevolmente la struttura demografica della comunità. Oggi, la nuova generazione occupa un posto sempre più importante sia nelle battaglie per il riconoscimento dei loro diritti sociali, civili e politici, ma anche nel mantenimento e nel rinnovamento del legame con il Paese d’origine.

In questo contesto si inserisce il transnazionalismo senegalese, un fenomeno articolato che abbraccia dimensioni economiche, sociali e culturali. Le rimesse economiche continuano a rappresentare un pilastro fondamentale per molte famiglie in Senegal, ma a esse si affiancano sempre più spesso forme di investimento collettivo, iniziative di co-sviluppo, scambi culturali e reti associative che attraversano i confini nazionali. È una transnazionalità che non si limita al movimento delle persone, ma che si nutre di relazioni, memoria e progettualità condivisa.

C’è un episodio, tra quelli raccontati, che per leiè particolarmente significativo?

Più che un singolo episodio, credo che il cuore del libro risieda in alcune osservazioni critiche sullo stato attuale della comunità senegalese in Italia. Non si tratta tanto di raccontare un fatto simbolico, quanto di riflettere su tendenze che considero preoccupanti.

La prima riguarda la nostra difficoltà ad aprirci all’innovazione. Troppo spesso, nella diaspora, prevale un atteggiamento conservatore che frena la sperimentazione e il cambiamento. È evidente, ad esempio, nella rigidità del modello associativo, che resta immutato da oltre trent’anni, e nella debolezza dell’iniziativa privata, ancora spesso marginale nelle attività economiche. Questo approccio limitato impedisce alla comunità di sprigionare tutto il suo potenziale, soprattutto in termini di sviluppo transnazionale e di circolazione di competenze.

Un’altra preoccupazione riguarda il passaggio generazionale: senza un rinnovamento reale, temo che le nuove generazioni faticheranno a raccogliere il testimone. Il rischio è che l’associazionismo, un tempo motore di coesione e rappresentanza, perda progressivamente di significato per i più giovani.

La seconda osservazione, altrettanto importante, è la lentezza con cui la comunità riesce ad adattarsi ai cambiamenti del contesto socio-economico. Questa difficoltà ci rende vulnerabili, soprattutto nei momenti di crisi. È una fragilità che dobbiamo riconoscere per poterla affrontare: serve maggiore consapevolezza, ma anche il coraggio di rivedere strumenti, linguaggi e prospettive.

Che cosa le ha restituito la scrittura in termini di consapevolezza della comunità senegalese in Italia?

La scrittura è stata il punto di arrivo di un lungo percorso fatto di esperienze quotidiane, di ascolto e di studio. Ho incontrato senegalesi di età, storie e profili diversi; ho raccolto testimonianze, analizzato dati statistici, condotto ricerche. È da questa somma di sguardi e vissuti che è maturata una convinzione: come comunità, abbiamo ancora molte potenzialità inespresse.

Possiamo fare di più e meglio in diversi ambiti, ma per riuscirci serve una riflessione profonda su noi stessi. Dobbiamo investire nella conoscenza, rafforzare la nostra capacità di adattamento ai contesti socio-politici ed economici dell’Italia, essere più aperti, più ambiziosi, e avere il coraggio di osare.

A chi si rivolge “ I Senegalesi in Italia. Storie e dinamiche di un flusso migratorio”?

Questo libro nasce soprattutto per noi, per la nostra comunità. È un invito a guardare con onestà i nostri punti di forza, ma anche le debolezze e le sfide che dobbiamo affrontare. Conoscersi meglio significa poter costruire insieme un futuro più solido e consapevole.

Ma il libro si rivolge anche alla società italiana nel suo complesso. Perché solo attraverso la conoscenza si può superare la diffidenza, si possono abbattere stereotipi e pregiudizi, e si può arrivare a una reale accettazione. In un’Italia sempre più interculturale, capire chi siamo significa anche rafforzare il tessuto sociale e favorire una convivenza autentica.

Infine, il libro è dedicato alle nuove generazioni, che rappresentano il futuro della nostra diaspora. Per loro conoscere la storia dei loro genitori, le radici senegalesi e il percorso compiuto in Italia, non è solo un atto di memoria, ma un passaggio fondamentale per definire la propria identità complessa e ricca. Essere allo stesso tempo italiani e senegalesi non è una contraddizione, ma un grande valore.

Sono proprio loro, con questa doppia appartenenza, a rappresentare il ponte più solido tra due mondi. A mio avviso, è questa la più bella e significativa eredità che possiamo trasmettere: la forza di un’identità plurale, capace di generare futuro.

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