Christophe Gleizes, reporter francese esperto di Africa, è stato condannato in Algeria a sette anni di carcere per presunti legami con un movimento cabilo considerato un’organizzazione terroristica. Dietro la vicenda, tensioni diplomatiche con la Francia e un clima repressivo sempre più duro contro giornalisti e oppositori. Il processo d’appello è atteso per ottobre
di Julie Déléant
Si chiama Christophe Gleizes, ha 36 anni, fa il giornalista sportivo da oltre quindici e ne ha passati più davanti a un campo da calcio. Oggi è rinchiuso da due settimane nel carcere di Tizi Ouzou, in Algeria, dove è detenuto dal 29 giugno. Il tribunale lo ha condannato a sette anni per “apologia del terrorismo” e “possesso di pubblicazioni contrarie all’interesse nazionale”. Un verdetto pesante, il più duro contro un reporter francese negli ultimi dieci anni. Gleizes era già sottoposto a controllo giudiziario da oltre un anno ad Algeri, con divieto di espatrio.
Nel maggio 2024 si era recato a Tizi Ouzou per realizzare un reportage sulle glorie calcistiche degli anni ’80 della Jeunesse Sportive de Kabylie (JSK) e sulle commemorazioni per la morte, ancora avvolta nel mistero, del calciatore camerunese Albert Ebossé. Il suo incarico, affidatogli dal gruppo So Press, includeva anche un’intervista all’allenatore del Mouloudia Club d’Alger, Patrice Beaumelle, e un ritratto del giocatore Salah Djebaïli.
Tensioni diplomatiche
Perché allora una condanna così pesante? Secondo l’accusa, Gleizes avrebbe avuto contatti nel 2015, 2017 e nel 2024 con il responsabile del club di Tizi Ouzou, che guida anche il Movimento per l’Autodeterminazione della Kabylie (MAK), classificato come organizzazione terroristica dalle autorità algerine solo nel 2021. I primi contatti, quindi, sarebbero avvenuti ben prima di quella data; gli ultimi, documentati nell’indagine del dicembre 2024, si collocano invece nel contesto della preparazione del reportage sportivo. Algeri lo accusa anche di aver lavorato con un visto turistico – una pratica molto diffusa tra giornalisti stranieri, data l’estrema difficoltà di ottenere visti professionali in Algeria.
Il caso si inserisce in un contesto politico teso. Dopo che Emmanuel Macron ha riconosciuto nel giugno 2024 la “marocchinità” del Sahara Occidentale, i rapporti tra Parigi e Algeri si sono rapidamente deteriorati: espulsioni reciproche di diplomatici, rifiuti di rimpatrio, accuse incrociate. Nel frattempo, in Algeria è aumentata la repressione interna: tra fine 2024 e inizio 2025 sono stati arrestati almeno 23 attivisti e giornalisti, soprattutto legati al movimento “Manich Radi” (“Non mi sta bene”). Trattando un tema delicato come il calcio in Kabilia – regione storicamente ribelle al potere centrale – Gleizes si è probabilmente mosso su un terreno troppo sensibile per il regime.
Una voce libera e coerente
Durante l’anno di affidamento ai domiciliari, Christophe ha continuato a girare l’Algeria “con curiosità e rispetto”, come racconta il collega Khaled Drareni. Attraverso le sue lunghe passeggiate quotidiane tra la via Didouche Mourad e Bologhine, ha imparato a conoscere una città che ha amato profondamente, e che a sua volta gli ha aperto le porte. Reporter francese con una parte dell’infanzia trascorsa in Zimbabwe, Christophe ha nutrito una grande passione per l’intero continente africano, visitato decine e decine di volte per realizzare reportage.

Il suo libro Magique système, scritto con Barthélémy Gaillard, è un’indagine profonda sullo sfruttamento dei giovani calciatori dell’Africa occidentale. “Sul campo mi spingeva sempre a parlare con una persona in più, a rivedere il testo un’ora in più. La sua esigente mi ha fatto migliorare, ricorda Gaillard”. Nel corso delle loro inchieste, che le hanno portati a indagare sull’influenza dei marabutti nel calcio o sulla crescente popolarità delle telenovelas, Barthélémy descrive un collega “dotato di grande empatia”, con uno sguardo “spesso divertito, mai beffardo”. “Per il reportage sulle telenovelas, siamo rimasti 24 ore su un divano a discutere con estetiste di Abidjan, del perché Guillermo è un bastardo, se Alberto è il più bello… Chris ha questa capacità eccezionale di creare facilmente legami con quasi tutti. Giornalisti come lui sono rari”. Una frase di Gleizes lo definisce bene: “Non scrivo mai una parola che avrei potuto non scrivere”. Misurato, onesto, mai sopra le righe. Per questo la sua detenzione è doppiamente amara.
Il giorno dopo la sua condanna, una quarantina di Società di Giornalisti francesi hanno chiesto la “liberazione immediata” di Christophe Gleizes, definendo “l’imprigionamento di un giornalista per il suo lavoro una linea rossa invalicabile”. “La condanna a sette anni di carcere non ha senso e dimostra solo una cosa: oggi nulla sfugge alla politica. La giustizia algerina ha perso una grande occasione per uscire a testa alta da questa vicenda”, ha commentato Thibaut Bruttin, direttore generale dalla ONG RSF. Christophe ha ricevuto anche il sostegno della Fédération Française de Football, della Ligue de Football Professionnel e di diversi club francesi, tra cui OGC Nice e Paris F.C. Il suo processo d’appello è previsto per ottobre. Nel frattempo, è possibile firmare la petizione di sostegno, che ha già raccolto oltre 16.000 firme.
L’autrice dell’articolo, Julie Déléant, è una reporter indipendente, scrive per La Croix, L’Obs, Afrique XXI, Il Manifesto…


