Di Oumar Barry – Centro studi AMIStaDeS
Foto di Sara Bellosta
La crisi umanitaria in Sudan ha generato milioni di sfollati e rifugiati, con il Ciad che ospita un numero crescente di persone in fuga dal conflitto. Medici senza Frontiere (MSF) interviene nei campi di Tiné e Ouré Cassoni, affrontando emergenze sanitarie, epidemie e violenze di genere, con particolare attenzione a donne e bambini. La risposta internazionale rimane insufficiente, rendendo cruciale coordinazione, finanziamenti e strategie logistiche per garantire protezione e sopravvivenza.
La situazione umanitaria in Sudan ha raggiunto livelli drammatici, con milioni di persone costrette a fuggire dalle proprie case a causa di conflitti armati, della carestie e dell’instabilità politica. Una delle conseguenze più evidenti di questa crisi è l’esodo di rifugiati verso paesi confinanti come il Ciad che, nonostante sia una delle nazioni più povere al mondo, sta ospitando un numero crescente di persone in fuga dal Darfur e da altre regioni colpite dalla guerra.
Per comprendere meglio la realtà quotidiana nei campi rifugiati, abbiamo intervistato Sara Bellosta, originaria di Mappano, vicino a Torino, e da quattro anni impegnata nel settore umanitario come responsabile della logistica e approvvigionamento per MSF. Attualmente è sul campo, al confine tra Ciad e Sudan, dove coordina i progetti umanitari di Tiné e Ouré Cassoni.

Può descrivere la situazione attuale nelle aree in cui opera, in particolare nei campi che accolgono i rifugiati sudanesi in fuga dal conflitto? Quali sono le principali condizioni umanitarie, sanitarie e sociali che riguardano la loro accoglienza e sopravvivenza?
Attualmente mi trovo in Ciad, dove lavoro come responsabile della logistica e degli approvvigionamenti per Médecins Sans Frontières (MSF) in progetti a Tiné e Ouré Cassoni, due località desertiche al confine con il Darfur, in Sudan.La nostra presenza risponde a una delle peggiori crisi umanitarie dei nostri tempi: la guerra in Sudan ha generato oltre 12 milioni di sfollati interni e più di 4 milioni di rifugiati nei paesi confinanti (UNHCR), tra cui il Ciad. Queste persone, che spesso arrivano con pochissimo, hanno bisogno di tutto: cibo, acqua, cure mediche e protezione.

A Tiné, al confine tra Ciad e Sudan è stato creato un campo di transito dove MSF fornisce assistenza sanitaria e interventi idrici e igienico-sanitari in condizioni estremamente precarie. I rifugiati vengono poi trasferiti dall’UNHCR in campi più all’interno, dove cerca di assegnare a ogni famiglia un alloggio temporaneo, obiettivo spesso irraggiungibile a causa dell’elevato afflusso di nuovi arrivati. Tra aprile e agosto 2025, il centro sanitario da campo di Tiné ha effettuato oltre 5.000 vaccini di emergenza contro il morbillo e ha fornito 2.489 consulenze sulla salute sessuale e riproduttiva. In termini di logistica, abbiamo costruito circa 40 latrine di emergenza e allestito un ospedale da campo in grado di accogliere più di 150 persone al giorno, con servizi che vanno dall’assistenza medica di base al sostegno psicologico e all’assistenza alle vittime di violenza sessuale.
Ouré Cassoni, dove già esiste un campo profughi istituito durante la crisi del Darfur nel 2003, l’attuale emergenza ha portato a un ulteriore afflusso di rifugiati. In questo contesto, MSF è l’unica ONG che fornisce acqua potabile e supporto medico sanitario, un compito particolarmente complesso a causa del costante movimento della popolazione. Negli ultimi mesi, con l’arrivo di nuovi rifugiati, abbiamo istituito cliniche mobili, programmi di sostegno medico e psicologico per le vittime di violenza sessuale e una campagna di vaccinazione che ha raggiunto più di 50.000 bambini e adolescenti.
Dal 25 luglio, con la dichiarazione ufficiale di un’epidemia di colera in Ciad, la situazione è diventata ancora più critica. Oltre a rafforzare i centri sanitari, stiamo riorientando i nostri piani d’azione per integrare attività di prevenzione, sensibilizzazione, controllo e trattamento dell’epidemia. La fragilità del contesto, la pressione degli arrivi e il rischio di epidemie rendono il nostro lavoro una corsa contro il tempo, dove la logistica diventa un fattore decisivo per trasformare risorse limitate in interventi vitali.

Qual è la situazione delle donne e delle ragazze che sono sopravvissute a violenze o sfruttamento sessuale? Quali forme di assistenza medica, psicologica o sociale riuscite a garantire, tenendo conto delle risorse disponibili e delle sfide operative?
Le donne e i bambini rappresentano la maggioranza dei rifugiati, circa l’87% secondo i dati dell’agosto 2025. La loro vulnerabilità è particolarmente elevata in contesti di crisi prolungata come quelli di Tiné e Ouré Cassoni, dove le condizioni di vita precarie amplificano i rischi di violenza sessuale, soprattutto per le donne e le ragazze. Recarsi alla ricerca di legna o acqua, attività necessarie per garantire la sopravvivenza della famiglia, espone le donne a pericoli reali, tra cui aggressioni fisiche e sessuali.
Le conseguenze di tali violenze sono profonde e durature: le sopravvissute spesso riferiscono traumi psicologici significativi, con ansia persistente, incubi, sentimenti di vergogna e isolamento sociale. In risposta a ciò, i nostri centri sanitari forniscono prevenzione e cura delle malattie sessualmente trasmissibili, contraccezione d’emergenza, cura delle ferite e sostegno psicologico. Solo a Tiné, tra aprile e agosto 2025, abbiamo registrato 1.322 consulti di salute sessuale e riproduttiva.
Tuttavia, l’efficacia degli interventi medici è spesso compromessa dai ritardi nell’accesso alle cure: molte sopravvissute arrivano più di 72 ore dopo la violenza, riducendo l’efficacia delle cure e della profilassi. Questo ritardo è causato da molteplici fattori: stigmatizzazione sociale, mancanza di informazioni sui servizi disponibili, difficoltà logistiche e mancanza di mezzi di trasporto adeguati per raggiungere i presidi sanitari.
Il contesto dei rifugiati in Ciad evidenzia quindi un legame critico tra vulnerabilità di genere, condizioni ambientali e accesso alle cure. Gli interventi di MSF non si limitano alla gestione clinica delle emergenze, ma includono anche la prevenzione, la sensibilizzazione e il sostegno psicologico per mitigare gli effetti devastanti della violenza sessuale e promuovere la resilienza delle comunità colpite.


Quali sono le principali sfide che affrontate nella fornitura di servizi sanitari e sociali, in particolare per le donne che hanno subito violenze e, più in generale, per la popolazione rifugiata? In che modo queste sfide influiscono sulla qualità e sulla continuità dell’assistenza fornita sul campo?
Una delle principali sfide che ho dovuto affrontare come responsabile della logistica nei progetti di Tiné e Ouré Cassoni è stata senza dubbio l’accesso alle zone più remote del Ciad, che risentono sia della natura desertica del territorio sia dell’arrivo della stagione delle piogge da giugno a settembre, che rende l’approvvigionamento di materiali e medicinali un problema quotidiano. La logistica umanitaria in questo contesto richiede un costante adattamento ai movimenti delle popolazioni rifugiate e una continua rivalutazione delle strategie operative, in particolare nei settori dell’alimentazione, delle vaccinazioni, della risposta alla violenza sessuale e della gestione dei movimenti di materiali e staff.
Nei campi profughi, specialmente in quelli informali o di transito come Tiné, i rifugi sono improvvisati, costruiti con rami e teli di plastica, ed estremamente vulnerabili agli eventi meteorologici avversi. Le forti piogge e i venti violenti causano regolarmente danni materiali e infrastrutturali, lasciando i rifugiati esposti a condizioni meteorologiche estremamente difficili. Dall’inizio di luglio, il Ciad orientale con la stagione delle piogge è stato colpito da forti tempeste che hanno causato lo straripamento dei wadi lungo le principali vie di trasporto, bloccando gli spostamenti, i convogli umanitari e le consegne di aiuti essenziali. A queste difficoltà sono aggravate da barriere sociali e culturali, spesso stigmatizzanti o intimidatorie, che ostacolano l’accesso della popolazione ai servizi sanitari. La situazione è ulteriormente aggravata dalla presenza limitata di altre ONG nella zona e dalla scarsità di fondi internazionali rispetto alla portata della crisi, il che rende qualsiasi intervento logistico e sanitario una sfida complessa, in cui la pianificazione e la rapidità di risposta diventano cruciali per la sopravvivenza dei rifugiati.

Qual è la sua valutazione dell’approccio adottato dall’Italia, dall’Unione Europea e dagli attori internazionali alla crisi dei rifugiati sudanesi, anche in contesti regionali come il Ciad? In che modo queste risposte sostengono concretamente il lavoro di MSF e delle altre organizzazioni umanitarie attive sul campo?
L’attenzione internazionale sulla crisi sudanese rimane limitata. Nel corso degli anni, le organizzazioni internazionali e l’UE hanno dato una risposta costante, ma insufficiente a soddisfare le crescenti esigenze dei rifugiati e delle popolazioni locali. Il Ciad, uno dei paesi più poveri al mondo, dispone di risorse estremamente limitate, il che rende ancora più complessa la gestione della crisi.
I tagli ai finanziamenti internazionali dello scorso anno non hanno ancora avuto un impatto diretto sul Ciad orientale, ma le conseguenze si faranno presto sentire. Gli attori presenti nella zona sono pochi, il che rende fondamentale la cooperazione tra le organizzazioni umanitarie. Grazie ai finanziamenti provenienti da donazioni private, MSF mantiene una risposta indipendente e flessibile, ma la sua capacità di soddisfare le esigenze dell’intera popolazione dipende necessariamente dal sostegno di altre ONG e da ulteriori finanziamenti internazionali.
Nonostante le difficoltà, ci sono stati anche dei progressi: i miglioramenti nei sistemi di distribuzione dell’acqua e nei servizi igienico-sanitari hanno aumentato l’efficacia degli interventi nei campi. Tuttavia, la continua crescita del numero di rifugiati aumenta costantemente la pressione sulle risorse disponibili. Nelle due province orientali in cui operano i soli progetti Tiné e Ouré Cassoni, dalla fine di aprile 2025 sono arrivati oltre 95.000 rifugiati sudanesi, con un moltiplicarsi dei bisogni umanitari in termini di acqua, cibo, salute, protezione e alloggio.
La situazione evidenzia la necessità di un intervento coordinato, rapido e flessibile, in grado di combinare la risposta immediata all’emergenza con lo sviluppo di soluzioni sostenibili per mitigare il crescente impatto della crisi sulle popolazioni più vulnerabili.

Quale messaggio ritiene importante trasmettere alle istituzioni italiane, alla comunità internazionale e all’opinione pubblica riguardo alla situazione delle persone rifugiate in fuga dal conflitto in Sudan?
Sono consapevole che esistono numerose crisi umanitarie “dimenticate” in tutto il mondo, ma è fondamentale richiamare l’attenzione su situazioni come quella del Sudan e la conseguente crisi dei rifugiati in Ciad, che colpisce milioni di civili costretti a spostarsi continuamente, a vivere in condizioni disumane e esposti a gravi rischi, tra cui violenze fisiche e sessuali.
MSF si impegna ad essere in prima linea nel fornire assistenza, ma le risorse disponibili rimangono insufficienti rispetto all’entità dei bisogni, amplificati da carestie, epidemie, conflitti e disastri naturali. Queste emergenze costringono le popolazioni sfollate in un ciclo inesorabile di fuga, passando da un contesto di estrema vulnerabilità all’altro, con gravi conseguenze per la loro salute, sicurezza e benessere psicologico, in particolare per i bambini.
Diventa dunque fondamentale informare e sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sulle reali esigenze e sulle carenze dei servizi disponibili, soprattutto per i gruppi più vulnerabili. Un’azione coordinata e un aumento dei finanziamenti sono essenziali per rafforzare i settori più critici: costruzione di alloggi adeguati, accesso all’acqua potabile, servizi igienico-sanitari, sostegno psicologico e assistenza medica. Solo un approccio integrato può mitigare le conseguenze di queste crisi e garantire protezione, dignità e sopravvivenza a coloro che sono costretti a vivere in condizioni di estrema precarietà.


