di Valentina Giulia Milani
Ogni giorno in Sudafrica migliaia di persone rischiano la vita per estrarre in modo informale minerali. Lo Stato, stretto tra crisi economica e pressione sociale, risponde con operazioni di forza.
Il volto sommerso dell’estrazione mineraria non regolare in Sudafrica non è fatto solo di oro e platino, ma di corridoi sotterranei instabili, di minatori “senza nome”, di bande armate e di interi villaggi che vivono ai margini della legalità. È la realtà di un’economia parallela alimentata da disoccupazione, migrazione non regolare e violenze. A fronte di un’industria mineraria che ha fatto del Paese uno dei leader mondiali nella produzione di metalli preziosi, migliaia di persone rischiano infatti ogni giorno la vita per estrarre in modo informale minerali dalle viscere di miniere abbandonate o in disuso. E lo Stato, stretto tra crisi economica e pressione sociale, risponde con operazioni di forza.
Lo testimoniano i più recenti fatti di cronaca: circa 1.000 minatori illegali sono stati arrestati in Sudafrica nel corso di un’operazione di polizia durata diversi giorni nella provincia di Mpumalanga. Lo ha reso noto la polizia sudafricana in un comunicato, precisando che la maggior parte dei fermati sarebbe composta da cittadini stranieri privi di documenti validi per soggiornare nel Paese. Le autorità non hanno ancora confermato le rispettive nazionalità.
I fermi sono avvenuti nei pressi di una miniera nella zona di Barbeton, una delle aree più colpite dal fenomeno dell’estrazione illegale, che rappresenta un grave problema sia dal punto di vista della sicurezza sia per l’economia nazionale. Le autorità sudafricane hanno intensificato negli ultimi mesi le operazioni di contrasto alle attività minerarie non regolari. A gennaio, oltre 2.000 persone erano state arrestate in una miniera d’oro dismessa a Stilfontein. Tra queste, secondo dati ufficiali, si contavano 1.128 cittadini del Mozambico, 473 dello Zimbabwe e 197 del Lesotho.
In quella stessa operazione, almeno 78 persone persero la vita dopo che le forze dell’ordine avevano interrotto l’invio di rifornimenti nell’impianto sotterraneo, dove i minatori si erano barricati. La decisione di bloccare l’accesso a cibo e acqua — presa nell’agosto 2024 — era stata duramente contestata da attivisti e organizzazioni per i diritti umani, che avevano accusato il governo di utilizzare la fame come strumento per forzare l’uscita degli occupanti.
Il governo sudafricano ha difeso l’operato delle forze di sicurezza, definendo l’assedio un’azione “necessaria” nella lotta alla criminalità e al mining illegale.
Il Sudafrica è uno dei maggiori produttori mondiali di oro, platino e altri metalli preziosi, con una lunga storia di estrazione che risale alla fine del diciannovesimo secolo. Tuttavia, il progressivo esaurimento delle risorse nelle miniere più antiche, unito alla chiusura di numerosi impianti per ragioni economiche e ambientali, ha favorito la diffusione dell’estrazione illegale, spesso gestita da gruppi organizzati e alimentata dalla manodopera migrante. Questi minatori, conosciuti localmente come zama zamas, operano in condizioni estremamente pericolose e senza alcuna tutela legale o sanitaria, esponendosi a rischi elevati di incidenti mortali, violenze e sfruttamento. Le gallerie sotterranee, infatti, spesso non più stabili, sono difficili da monitorare e rappresentano un pericolo non solo per i minatori irregolari, ma anche per le comunità circostanti, a causa del rischio di crolli, contaminazioni ambientali e infiltrazioni criminali.

Le autorità denunciano inoltre un aumento della violenza legata al controllo delle miniere dismesse, con scontri tra bande armate e traffici illeciti di materiali grezzi destinati ai circuiti del commercio internazionale.
Sul fronte economico, secondo dati ufficiali del Department of Mineral Resources and Energy, l’estrazione mineraria illegale comporta ogni anno perdite per oltre 70 miliardi di rand (circa 3,5 miliardi di euro) a danno dello Stato sudafricano, tra mancate entrate fiscali, evasione di royalties e danni ambientali. Rapporti della Chamber of Mines of South Africa stimano che le sole attività clandestine condotte all’interno di miniere operative provochino danni economici per almeno 7 miliardi di rand (circa 350 milioni di euro) l’anno, a causa di furti di materiali, interruzioni dei lavori, spese per la sicurezza e per la riparazione delle infrastrutture. Secondo studi indipendenti pubblicati da istituti di ricerca come Enact e l’Africa Center for Security and Intelligence Studies, il costo complessivo per l’economia nazionale potrebbe oscillare tra i 21 e i 70 miliardi di rand (da circa 1 a 3,5 miliardi di euro), considerando anche le spese per il contrasto alle bande armate e il mancato sviluppo nelle comunità coinvolte.
Buona parte dei minatori irregolari, tuttavia, sono uomini giovani e disoccupati, provenienti da zone rurali del Sudafrica o da Paesi limitrofi, che affrontano viaggi pericolosi nella speranza di guadagnare qualcosa scavando in gallerie abbandonate. Per molti di loro, l’estrazione illegale non è una scelta criminale, ma l’ultima risorsa per sopravvivere in assenza di opportunità economiche e prospettive di vita dignitosa. Le stesse comunità che vivono attorno alle miniere, spesso escluse dalla ricchezza generata dall’industria estrattiva formale, finiscono per vedere in questa attività una fonte di sostentamento, seppur precaria e rischiosa.



