Benin, la rivoluzione del cotone

di claudia

di Jeanne Orou

Il piccolo Paese del Golfo di Guinea scrive un nuovo capitolo della sua economia: trasformare il cotone che produce in indumenti per i mercati globali. Con un ambizioso piano industriale, investimenti esteri e formazione di manodopera, vuole salire lungo la catena del valore, creando occupazione e diventando un polo tessile regionale.

A Glo-Djigbé, nella zona industriale situata a circa 45 chilometri da Cotonou, il suono delle macchine da cucire si fonde con il battito regolare dei telai. Qui, fra tagli, cuciture e confezioni, prende forma un nuovo capitolo dell’economia beninese: trasformare il cotone, principale risorsa agricola del Paese, in capi finiti destinati ai mercati internazionali. Il Benin, oggi primo produttore africano di cotone, sta compiendo un passo deciso verso la creazione di una filiera tessile integrata, con l’ambizione di trattenere sul proprio territorio il valore aggiunto della trasformazione. Il governo di Porto Novo prevede di aver raccolto 670.000 tonnellate di cotone entro la fine dell’anno, superando di oltre 100.000 tonnellate il Mali, tradizionale rivale regionale, oggi indebolito da una grave crisi economica e dall’isolamento della giunta militare al potere dal 2021. Fino a poco tempo fa, il Benin esportava quasi esclusivamente cotone grezzo verso Paesi come Bangladesh e Cina, dove veniva trasformato in abbigliamento per il gigantesco mercato globale del fast fashion, stimato in 1.500 miliardi di dollari. Oggi qualcosa sta cambiando.

Made in Benin

Per la prima volta questo piccolo Paese dell’Africa occidentale di 13 milioni di abitanti ha iniziato a esportare prodotti finiti in cotone “Made in Benin”, frutto di una strategia governativa che mira a sviluppare un’industria tessile nazionale. Nel 2020, sotto la spinta del presidente Patrice Talon – imprenditore di successo soprannominato il “re del cotone” – è nata la Gdiz (Glo-Djigbé Industrial Zone), una zona economica speciale concepita per ospitare impianti di filatura, tessitura, tintura e confezione. Il progetto, realizzato in partenariato con Arise Integrated Industrial Platforms, società con sede a Dubai e attiva nella promozione dell’industrializzazione africana, ha beneficiato di un investimento superiore al miliardo di dollari. Obiettivo: quintuplicare entro il 2030 la capacità manifatturiera del Benin, creando occupazione e accrescendo il peso dell’industria sul pil nazionale. «L’esportazione di cotone grezzo comporta una perdita di oltre il 90% del valore potenziale per lo Stato», spiega Létondji Beheton, amministratore delegato della Gdiz. «La trasformazione locale del cotone significa più lavoro, più competenze, più ricchezza per i beninesi».

cotone

Le t-shirt realizzate a Glo-Djigbé raccontano un’intera filiera: cotone coltivato, raccolto, sgranato, filato, tessuto, tinto e cucito interamente in Benin. «Vi rendete conto di quanti passaggi ci sono dietro una semplice maglietta?!», esclama Ramakrishnan Janarthanan, direttore di uno degli stabilimenti. «La nostra ambizione è controllare l’intera catena del valore, dal campo al consumatore finale». L’obiettivo è ambizioso, gli ostacoli non mancano: carenze infrastrutturali, accesso limitato all’energia, concorrenza internazionale – in particolare della Cina – e necessità di formare una forza lavoro qualificata. Ma l’esempio beninese si distingue in una regione, l’Africa occidentale, dove, nonostante la produzione cotoniera sia ben diffusa (dal Mali al Burkina Faso, dalla Costa d’Avorio al Togo), la trasformazione industriale rimane un’eccezione. In passato ci hanno provato, con risultati altalenanti, Etiopia, Egitto e Marocco, ma il Benin sembra oggi il più credibile laboratorio di una nuova industrializzazione tessile africana. Del resto, l’industria dell’abbigliamento è tradizionalmente uno dei settori d’ingresso più accessibili per lo sviluppo industriale, grazie alla manodopera intensiva. Può assorbire parte dei 30 milioni di nuovi posti di lavoro di cui l’Africa ha bisogno ogni anno per la sua giovane popolazione. Non a caso, il Financial Times ha scritto che «le magliette potrebbero essere la soluzione per l’insicurezza economica che ha finora colpito i coltivatori di cotone del Benin».

Ostacoli e sfide

Le sfide però restano numerose. I produttori africani soffrono da decenni degli effetti delle fluttuazioni del mercato mondiale, aggravate dalle sovvenzioni – circa 8 miliardi di dollari l’anno – concesse da Paesi come gli Stati Uniti ai propri coltivatori. Secondo la Banca mondiale, tali distorsioni costano ai produttori africani circa 147 milioni di dollari l’anno. Inoltre, il rallentamento economico di Paesi importatori come il Bangladesh, dove l’inflazione e l’indebitamento hanno provocato la chiusura di molte filature, ha fatto crollare la domanda e i prezzi, oggi fermi intorno a 0,70 dollari per libbra. A tutto ciò si sommano gli effetti del cambiamento climatico: siccità prolungate e alluvioni sempre più frequenti mettono i raccolti a rischio. Molti produttori stanno ora adottando varietà di cotone più resistenti e pratiche agricole sostenibili, mentre le nuove opportunità create dal mercato interno africano potrebbero ridurre la dipendenza dall’estero. «Da quando la fabbrica di Glo-Djigbé è operativa, ho un reddito sicuro. Riesco a risparmiare e investire», racconta Léonard Madjaedou, 47 anni, coltivatore che ha beneficiato del sostegno statale in un Paese dove il pil pro capite non arriva a 1.400 dollari.

cotone

Attualmente, il settore manifatturiero contribuisce al pil nazionale per il 9,8%, ma oltre due terzi di questa quota proviene dalla produzione artigianale. L’industria formale – finora limitata alla sgranatura – pesa solo per il 3%. Secondo gli esperti, trasformare l’intero raccolto in abbigliamento potrebbe generare 12 miliardi di dollari di valore aggiunto, in un’economia nazionale da 17 miliardi. Per accelerare il processo, il governo ha semplificato le procedure per l’avvio d’impresa, migliorato l’accesso ai servizi pubblici, potenziato le infrastrutture e introdotto una delle pratiche di rilascio del visto più rapide dell’intero continente.

Stabilità e riforme

Sotto la leadership del presidente Talon, in carica dal 2016 e attualmente al suo secondo mandato, l’economia beninese ha registrato una crescita media annua del 6%. Talon è spesso paragonato al suo omologo rwandese Paul Kagame, non solo per la sua abilità nell’attirare investimenti ma anche per il suo approccio autoritario, che ha suscitato opinioni contrastanti sulla sua gestione del potere. Nonostante ciò, le riforme attuate e la stabilità politica hanno favorito l’afflusso di investimenti internazionali. Tra questi figura il gruppo tunisino Aigle, specializzato nella trasformazione del cotone, che ha investito 20 milioni di dollari per avviare un impianto capace di creare 2.000 posti di lavoro diretti. Collaborazioni di questo tipo sono decisive per il trasferimento di tecnologie e competenze al tessuto industriale locale.

La formazione della forza lavoro è un altro pilastro della strategia Gdiz: mille lavoratori sono già in fase di addestramento, con l’obiettivo di arrivare a 15.000 nei prossimi anni. Tre stabilimenti tessili saranno in grado di trasformare 40.000 tonnellate di fibra ogni anno. E il grande impianto a nord di Cotonou, che produrrà anche biancheria da letto, asciugamani, polo e legging, punta a essere il simbolo di una nuova stagione industriale. La sfida è lanciata. E il Benin, Paese piccolo ma ambizioso, è deciso a salire l’intera catena del valore – un passo alla volta, cucitura dopo cucitura. «La concorrenza globale, in particolare da parte di giganti come la Cina, richiede un costante miglioramento della qualità e dell’efficienza produttiva», chiosa l’amministratore delegato del Parco Tessile della Gdiz. «Inoltre, è essenziale garantire infrastrutture adeguate, accesso a fonti energetiche affidabili e sostenibili, e politiche favorevoli agli investimenti».​

L’obiettivo è processare internamente l’intera produzione di cotone nazionale entro il 2030, riducendo la dipendenza dalle esportazioni di materia prima grezza. «La creazione di un’industria tessile locale permetterà al Benin di trattenere nel Paese una maggiore parte del valore aggiunto, con aumenti delle entrate fiscali e reinvestimenti in altri settori chiave». Questo circolo virtuoso non solo migliorerà l’economia nazionale, e promuoverà l’occupazione dei giovani, ma potrebbe anche posizionare il Benin come un hub tessile di riferimento in Africa occidentale.​

Questo articolo è uscito sul numero 4/2025 della rivista Africa. Per acquistare una copia, clicca qui.

Condividi

Altre letture correlate: