Il progetto Enact, sviluppato da Interpol con il sostegno di Unione Africana e Unione Europea, ha lanciato un allarme sulle crescenti tensioni nella Libia meridionale, in particolare nel triangolo di confine con Niger e Ciad. Secondo il rapporto, l’aumento della presenza armata e il riassetto delle reti criminali stanno minacciando la stabilità regionale dopo sei anni di relativa calma.
Il documento rileva un peggioramento della situazione nel Fezzan dall’inizio dell’anno, innescato dallo scioglimento del 128° reggimento da parte del Comando generale dell’Esercito nazionale libico (Lna). La mossa, ordinata dal generale Khalifa Haftar e spinta dal figlio Saddam, mirava a ridimensionare la crescente influenza politica e tribale del comandante dell’unità, il generale Hassan al-Zadma. Al-Zadma, figura di spicco della potente tribù degli Awlad Suleiman, aveva cercato maggiore autonomia nella gestione delle risorse e dei contratti nel sud, entrando in rotta di collisione con i vertici di Bengasi. La decisione ha provocato scontri nell’area di Qatrun con mercenari ciadiani e combattimenti nelle miniere d’oro di Kilingi. La pressione militare ha costretto le reti criminali a riorganizzarsi, spostando le operazioni da Qatrun verso città come Sebha e Obari o verso il corridoio di Salvador.
Le misure hanno quasi interrotto il contrabbando di carburante verso Niger e Ciad e modificato drasticamente le modalità del traffico di esseri umani. I trafficanti ora viaggiano prevalentemente di notte e con gruppi più piccoli: da gennaio a giugno, il numero di persone trasferite via terra si è dimezzato. Enact avverte tuttavia che la fragilità degli equilibri tribali e la proliferazione di gruppi armati rendono la regione un potenziale epicentro di instabilità per l’intero Sahel.


