Barricate, incendi e assalti a seggi e stazioni di polizia: la Tanzania precipita nel caos dopo le elezioni contestate. Le proteste, guidate da migliaia di giovani, si estendono da Dar es Salaam ad Arusha. Internet a singhiozzo, media oscurati, decine di vittime. Nel mirino la presidente Samia Hassan e il suo partito al potere dal 1961
Scontri di piazza, barricate in fiamme, posti di polizia e seggi elettorali assaltati.
Le immagini che arrivano dalla Tanzania raccontano un Paese nel caos: da ieri sera violenze diffuse in diverse località — in particolare ad Arusha, Dodoma, Mbeya e nella capitale economica, Dar es Salaam, una città di oltre sette milioni di abitanti, dove si registrano tumulti nei quartieri di Mbagala, Gongo la Mboto e Kiluvya.
Incendiati distributori di benzina, edifici del governo e terminal degli autobus, assalti a prigioni e stazioni di polizia. In alcuni video, non verificati, si vedono soldati dell’esercito che sembrano unirsi ai manifestanti.
Il bilancio delle vittime è ancora incerto. Una fonte diplomatica parla di almeno trenta morti, ma la situazione resta confusa. Dopo un blackout imposto dalle autorità, la connessione internet è stata parzialmente ripristinata. Ma i media locali sono sottoposti a un rigido controllo e le uniche notizie sugli scontri circolano attraverso i social.

Le proteste, esplose all’indomani delle elezioni generali e presidenziali, sono dirette contro la presidente Samia Suluhu Hassan, al potere dal 2021 dopo la morte di John Magufuli.
Prima donna alla guida della Tanzania, inizialmente elogiata per un’apertura democratica, oggi è accusata di aver rilanciato la repressione contro l’opposizione.
A Dar es Salaam, i seggi — di solito affollati — sono rimasti quasi deserti.
Il voto è stato boicottato dal principale partito d’opposizione, Chadema, escluso per non aver firmato il nuovo codice elettorale. Il suo leader, Tundu Lissu, è in carcere con l’accusa di tradimento, mentre altri candidati di rilievo, sono stati estromessi per cavilli procedurali. Ai media stranieri non è stato permesso di seguire le operazioni di voto.
Amnesty International denuncia un “clima di terrore”, con sparizioni forzate, arresti arbitrari e torture. Secondo l’Ordine degli avvocati del Tanganica, 83 oppositori politici sono scomparsi da quando Hassan è salita al potere.

Il progressivo deterioramento delle libertà di stampa e dei diritti civili ha già suscitato dure critiche a livello internazionale. Ora, questa nuova ondata di violenze rischia di isolare ulteriormente il Paese.
In un video non verificato, una folla di manifestanti invade l’aeroporto internazionale di Dar es Salaam. Tutti i voli da e per la capitale economica sono stati sospesi. Resta operativo, ma con difficoltà, l’aeroporto di Zanzibar, dove numerosi turisti e cittadini stranieri tentano di lasciare il Paese.
Il governo ha imposto il coprifuoco. Ma nonostante il divieto, i manifestanti sono scesi in piazza a protestare e sono stati accolti dalle forze dell’ordine con accolti con gas lacrimogeni e colpi d’arma da fuoco. L’ambasciata italiana invita i connazionali a evitare ogni spostamento non necessario e a restare in casa fino a nuovo avviso.
Al momento non è chiaro se le autorità riusciranno a contenere i disordini o se la protesta — ormai diffusa in tutto il Paese — possa scuotere la presidente Hassan e il suo Partito della Rivoluzione, fondato da Julius Nyerere, il “padre della patria” tanzaniana. Al potere ininterrottamente dall’indipendenza del 1961, il partito è oggi accusato di corruzione, autoritarismo e cattiva gestione del Paese.
A prescindere da come andrà a finire, siamo di fronte all’ennesima prova di forza delle piazze: una sfida aperta, guidata da una marea di giovani contestatori che sta mettendo in discussione le leadership politiche africane


