Pesca illegale e pirateria: il rischio di un nuovo focolaio al largo della Somalia

di claudia
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di Stefano Sarno e Enrico Casale

Funzionari e pescatori somali avvertono: lo sfruttamento illegale delle risorse marine da parte di flotte straniere potrebbe riaccendere la pirateria nel Corno d’Africa. Un fenomeno che costa al Paese oltre 300 milioni di dollari l’anno e che alimenta tensioni sociali e insicurezza marittima.

La pesca illegale al largo della Somalia potrebbe favorire una recrudescenza della pirateria. Questo il monito lanciato da funzionari e pescatori somali interpellati dalla testata canadese Cbs sui recenti attacchi registrati al largo del Paese del Corno D’Africa. “Questi attacchi dovrebbero essere valutati seriamente, ma non necessariamente come un ritorno alla pirateria su larga scala del 2010”, ha detto Abdiwahid Hersi, esperto di pesca ed ex direttore generale del ministero della Pesca e delle Risorse Marine dello stato somalo di Puntland, secondo cui la situazione potrebbe facilmente sfuggire di mano perché che uno dei fattori che alimentano la pirateria è proprio la pesca illegale. Attività che, si stima, faccia  perdere alla Somalia oltre 300 milioni di dollari l’anno. I pescatori locali danneggiati da tali attività potrebbero infatti tollerare o addirittura essere complici degli attacchi alle imbarcazioni straniere, considerandoli una fonte alternativa di reddito o una punizione per il “furto” delle loro risorse, ha ammonito Hersi.

Il ministero della Pesca e dell’Economia Blu della Somalia ha documentato centinaia di pescherecci stranieri sospettati di pescare illegalmente nelle acque costiere e nella zona economica esclusiva del Paese negli ultimi anni. Tra questi figurano navi provenienti da Cina, Iran, Yemen, Spagna, Francia, Thailandia ed Egitto, ha precisato Hersi alla Cbc, aggiungendo che la pesca illegale e non dichiarata si verifica tutto l’anno, intensificandosi tra aprile e giugno e tra ottobre e dicembre. “Dall’inizio degli anni 2000 è stata avviata un’azione di sorveglianza che ha mostrato esattamente quando e dove si verifica la pesca illegale, identificando le imbarcazioni, le loro posizioni e i loro numeri di identificazione”, ha spiegato Hersi.

Gli stessi pescatori somali hanno segnalato incursioni di imbarcazioni straniere in aree riservate ai piccoli pescatori, così come danni alle attrezzature da parte di imbarcazioni che pescavano a strascico vicino alla costa, con alcune delle loro attrezzature successivamente ritrovate su imbarcazioni straniere. “Faccio questo lavoro da sei anni, la pesca illegale è molto diffusa e quest’anno anche la mia barca è stata presa con la forza da iraniani armati. Hanno persino aperto il fuoco e mi hanno minacciato”, ha raccontato alla Cbc Mohamed Saciid, 23 anni, un pescatore locale di Mogadiscio.

Già in uno studio dell’ottobre 2024 di Risk Intelligence, che ha sede in Danimarca, era emersa la denuncia della popolazione locale di “tattiche sempre più aggressive” adottate dalle imbarcazioni straniere, “tra cui speronare  imbarcazioni somale, tagliare le reti e persino sparare colpi di avvertimento”.

navi cinesi pescano illegalmente in Africa occidentale

La pesca illegale è un problema in Somalia almeno dall’inizio degli anni ’90, quando le coste del Paese sono rimaste incustodite a causa del crollo del governo e dello scoppio della guerra civile. Nel 2018, con una situazione più stabile e un governo centrale in carica, le autorità hanno iniziato a rilasciare permessi alle cosiddette nazioni dedite alla pesca in acque lontane, come la Cina, consentendo loro di pescare nell’area nota come zona economica esclusiva e generando centinaia di migliaia di dollari in tasse di licenza, secondo le stime della Banca Mondiale. Tuttavia, secondo Abdirahman Abdi Ali, comandante portuale che guida le navi nel porto di Bosaso, la supervisione è stata lassista e le navi straniere hanno iniziato a pescare più di quanto fosse loro consentito, causando anche danni alla vita marina: “Quando ottengono le licenze, arrivano e pescano in modo eccessivo, causando una distruzione diffusa degli habitat marini e danni ingenti ai residenti costieri. Queste imbarcazioni non sono controllate”.

Il problema della pesca eccessiva è stato poi aggravato dal fatto che alcuni Stati, come il Puntland, hanno iniziato a rilasciare le proprie licenze, così come alcuni signori della guerra, generando corruzione e disaccordi tra le autorità federali e regionali. “Il rilascio delle licenze è diviso tra più agenzie, l’applicazione delle normative sulla pesca è debole e la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata costa alla Somalia circa 306 milioni di dollari all’anno”, ha concluso un rapporto della Somalia Development and Reconstruction Bank.

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La pirateria è una piaga che ha colpito duramente la Somalia. Tra il 2005 e il 2013 gruppi di pirati hanno sequestrato numerosi mercantili. In seguito, seppure attenuatosi, il fenomeno non si era del tutto arrestato, infatti, nel 2014 i pirati avevano dirottato la nave portarinfuse Mv Ruen e nel 2017 sequestrato la petroliera Aris 13. Attualmente il livello di allerta permane critico e le forze navali schierate nella regione (non soltanto quelle delle task force multinazionali) operano in un ambiente il cui livello di rischio d’attacco viene indicato a oltre il 95%, in particolare a ridosso della orientale somala.

Tra le forze navali internazionali anche quella della Marina militare italiana che, secondo quanto dichiarato dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, nella sua visita a Gibuti, avrebbe permesso a 500 mercantili di passare indenni dal Mar Rosso all’Oceano Indiano. “Il Corno d’Africa – ha sottolineato il ministro – è una zona strategica per noi, ci sono situazioni di tensione, i nostri militari sono sempre portatori di pace, formano qui anche la polizia di Gibuti, formano qui la polizia somala anche per combattere il terrorismo, quindi stabilità, lotta al terrorismo e attraverso la nave Marceglia della Marina riusciamo a proteggere anche il commercio internazionale del nostro Paese. Con il piano Mattei vogliamo aiutare molti Paesi africani, essere interlocutori, essere protagonisti con un’ottica non neocoloniale”.

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